Il Messaggero 06.12.2000
Camilleri in casa Pirandello

LUIGI solleva la testa dal foglio che sta cummigliando di parole, deve finire una novella da spedire al “Corriere della Sera", talìa il ralogio da taschino che sta posato allato al calamaro. La mezzanotte è passata da qualche minuto e lui sente di colpo pesargli la stanchizza sopra le palpebre. La luce che manda l’abbajùr, spostato dal comodino sullo scrittoietto, è scarsa, giallùsa, ma così deve essere per non disturbare l’eventuale sonno di Antonietta. Quella che ai primi tempi del matrimonio era una semplice càmmara di dormiri, confortevole e ordinata, ora è un cafarnao. C’è, per esempio, un tavolinetto assistemato dalla parte di lei sul quale ci sono decine di boccette di medicinali, di bustine di rimedi, una spiritera per far bollire l’acqua se per caso, di notte, ci fosse bisogno di preparare un qualche infuso, una qualche tisana. Luigi ci ha portato macari un piccolo scrittoio, dove può travagliare senza sentirsi chiamare a ogni momento, come capitava prima.
«Luigi, dove sei? Che fai?».
«Qua sono. Sto scrivendo».
«A chi? A qualcuna delle tue fimminazze, eh?».
Così invece Antonietta, se vuole, può susìrisi dal letto senza fare la minima rumorata e andare a vedere, sporgendo la testa da sopra la sua spalla, che cosa il marito sta scrivendo. Ma macari se le parole che ha letto chiaramente non possono essere quelle di una lettera d’amore, certe volte lei diventa ancora più squieta.
«Tu a quelle fìmmine le hai conosciute tutte?».
«Quali fìmmine, ’Ntuniè?».
«Quelle che poi ci scrivi sopra una novella».
«Ma che ti viene in testa? Sono cose di fantasia. Non esistono!».
«Esistono, esistono».
«Ma dove, santo Dio?!».
«Nella tua fantasia, lo dicesti tu ora ora».
Adesso sente che Antonietta è vigliante, è assumata come un’annegata dalla profondità del sonno piombigno dove affonda a tratti e brevemente, ha il respiro pesante. I suoi occhi sono fissi su di lui, non parla, si limita a taliàrlo e Luigi sente proprio darrè il cozzo due punte che lo trapanano. Non può continuare a scrivere in quelle condizioni, sapere che lei lo sta taliàndo con gli occhi sgriderati lo paralizza. Si alza, si stira perché la posizione l’ha aggrancuto, piglia l’abbajùr, lo rimette sul comodino, si avvia a nèsciri sempre seguito da quello sguardo implacabile.
«Dove vai?».
«Dove vuoi che vado? In bagno, mi spoglio».
«Doppo vieni? O fai come l’autra volta che te ne calasti dalla finestra e te ne andasti con le fimminazze?».
Non le risponde. Figurarsi! Calarsi di notte da una finestra! Di cosa sarà capace d’accusarlo la prossima volta quella fìmmina il cui cervello si macerìa inventandosi storie d’impossibili tradimenti che gli vengono rinfacciati come veramente avvenuti?
In bagno, perde tempo, si spoglia con lentezza, si lava evitando accuratamente di taliàre la sua faccia allo specchio.
«Che fai? Ancora lì sei?».
«Arrivo».
Non faceva in tempo a infilarsi sotto le coperte. Lei l’afferrava, si stringeva a lui con violenza, disperata e lo baciava e lo mordeva e gli strappava i capelli e poi principiava a piangere e tra i singhiozzi, con voce diversa, voleva sapere come aveva amato un’altra, una inesistente altra, alitandogli in volto il suo fiato denso di malata:
Così, è vero? ti stringeva così... le braccia, così? la vita... come te la stringeva... così? così? e la bocca? Come te la baciava? Così?
Lui si abbandonava, si lasciava trasportare dentro quel gorgo con ribrezzo. Ma non poteva fare a meno di lasciarvisi trasportare. Ottenuta la "prova d’amore“ Antonietta non si placava. Avrebbe voluto farlo nèsciri da casa senza più forza d’omo per essere certa dell’impossibilità fisica del tradimento. Così come aveva obbligato il marito ad andare in giro coi soldi contati per il tram, in maniera che, se gli fosse saltato qualche firticchio per una fìmmina, non avrebbe saputo come pagarselo.
Poi lei risprofondava nella vischiosa palude del sonno. Luigi invece a lungo s’arramazzava nel letto, ma adascio per non arrisbigliare Antonietta, prima di poter serrare gli occhi.

Andrea Camilleri