"In questo libro – ha esordito
Camilleri - le domande di Marcello mi hanno consentito di
dire alcune cose che non si sanno. Per esempio, io vengo
considerato un fungo, letteralmente. Cioè, questo vecchio,
arrivato a 71 anni d'età si mette a scrivere ed ottiene un
successo strepitoso. E io invece ho cominciato a scrivere a
18 anni. Poi per dieci anni sono stato rifiutato da tutte le case
editrici esistenti. Ecco, questo libro mi ha dato opportunità di
raccontarmi. La billizza di avere raggiunto una certa età con
la testa che, ringraziando Dio, ancora funziona, è quella che
puoi dire le cose che pensi perché puoi cominciare a
fottertene dell'universo criato.
Camilleri e l'impegno letterario.
Così lo scrittore
empedoclino ha approfittato dell'occasione per togliersi
anche qualche sassolino dalle scarpe. I bersagli? Quanti lo
considerano un autore "leggero". Il pensiero torna indietro di
non molto, al tempo della riforma burocratica, della legge
Bassanini. "Cosa è scrittore impegnato – è stata la domanda
retorica di Camilleri - e cosa non lo è. Scrivere una favola
sulla burocrazia (che poi Bassanini fece stampare e
distribuire in tutti i ministeri, ndr) e leggerla agli alti burocrati
prendendoli in giro, come io ho fatto, è impegno letterario
oppure no? O per essere considerati autori impegnati
bisogna solo affrontare i grandi problemi dell'umanità e non le
cose spicciole?".
Camilleri e la Sicilia.
Già, i grandi temi. Ma Camilleri in
quell'angolo della piazza di Vigata in cui si staglia imponente
la scultura raffigurante un altro figlio illustre di Porto
Empedocle, Luigi Pirandello, non s'è sottratto nemmeno a
discutere di quelli. "Leggo sui giornali che la Sicilia in questi
anni non è cambiata affatto. Per me non è vero. Quello della
Sicilia è un cambiamento diverso da quello più appariscente,
o se vogliamo economico, del Nord-Est. Quello dei siciliani è
un cambiamento direi interiore, anzi del Dna. E per questo
lento, ma profondo. Penso alla riscoperta delle istituzioni da
parte dei siciliani, ad esempio".
Ma nella fresca serata del Caffè Letterario ad aleggiare
nell'aria non c'era solo lo spirito pirandelliano. Più d'un
riferimento nel corso della discussione s'è fatto a Leonardo
Sciascia, figlio illustre di un'altra cittadina dell'Agrigentino, la
non lontana Racalmuto. Così il discorso è scivolato sulla
sicilitudine. "Dico che non ne sono proprio orgoglioso. Se
però noi siciliano dovessimo perdere la sicilitudine per
l'omologazione, allora griderei viva la sicilitudine, su questo
non c'è il minimo dubbio".
Camilleri e la poesia.
Non tutti sanno del Camilleri poeta.
Quello cioè che giovanissimo cominciò ad inviare le sue
poesie a diverse riviste del settore. "Non ho mai pubblicato
libri di poesie – ha raccontato Camilleri – ma alcuni gruppi di
mie poesie vennero pubblicate tra il '48 e il '50 da Mondadori
in una antologia diretta da Ungaretti e in una raccolta di
Vallecchi. Quei libri forse non arrivarono a vendere nemmeno
300 copie, ma neanche se mi dessero il Premio Nobel per la
letteratura – ha continuato – riuscirei a dimenticare
l'emozione e la gioia che mi diede la mia prima poesia
pubblicata su un giornale".
Camilleri, la poesia e la letteratura on line.
Secondo
Camilleri il futuro della poesia potrebbe essere roseo. "Sì,
credo che si possa aprire un'era nuova per la poesia.
Attraverso Internet. Le poesie sono testi brevi, occupano uno
spazio limitato. Eppoi i poeti possono mettersi in contatto tra
loro con grande facilità, possono dialogare con la poesia.
Credo che questa sia in un prossimo futuro una delle cose
positive di Internet. Diverso è invece il discorso per la
letteratura. Credo che sia un problema più complesso. Si sa
che la poesia è a perdere, come dimostrano anche le vendite
dei libri. Mentre per uno scrittore Internet può essere un po'
rischioso".
L'Ammiraglio Camilleri.
La serata vigatese di Camilleri ha offerto anche momenti esilaranti. Come il racconto di quando riuscì a coronare il sogno inseguito sin da ragazzo. "Mio padre era alla Capitaneria di porto – ha ricordato – ed ho sempre vissuto sul mare e avendo a che fare con ufficiali della Marina. Il mio sogno era quello di fare l'ufficiale. Volevo pure fare l'Accademia di Livorno. Insomma, io volevo diventare ammiraglio. Mi ci vedevo proprio: bello, con la divisa… Tanto che una volta mia moglie, addirittura, mi disse: Senti, a Porta Portese io te l'accattu 'na divisa d'ammiraglio, ti vesti e te la spardi in campagna… Una volta in Rai stavano girando una cosa sulla Marina. Io non resistetti alla vista, in sartoria, di quelle belle divise da ammiraglio e ne indossai una. Mi piacque moltissimo girare in via Teulada vestito in quel modo. Poi, siccome lì vicino c'era un'ambasciata e c'erano dei carabinieri di guardia, io uscii da via Teulada, passai davanti all'ambasciata e risposi al saluto dei militari. E' stata una delle più belle soddisfazioni della mia vita!