La vacanza-lavoro di Camilleri
"Confusione, libri e famiglia"
PORTO EMPEDOCLE - Squeto (inquieto), mai imparpagliato (incupito) però,
ama babbiare (scherzare) e ogni mattina tambasìa (ozia, non fa nulla).
Andrea Camilleri in vacanza è lo stesso Andrea Camilleri che lavora.
Sì, certo, esiste un posto, un angolo d'universo, che rappresenta
per lui il riposo, la contemplazione, dove lo sguardo si smarrisce verso
l'infinito carezzando questo immobile mare turchese prospicente l'Africa.
È la Scala dei Turchi, candido dirupo di marna. Ma guai a parlargli
di buen retiro: la sola parola lo irrita. "Adesso finiamo la birra e poi
la porto a vedere. Da lontano però, perchè per arrivarci
bisogna camminare un chilometro, e sotto questo sole a picco sarebbe la
morte".
Le campane suonano a distesa il mezzogiorno. In jeans comodi, camicia
a mezze maniche perfettamente stirata, orologio subacqueo digitale e scarpe
di pezza, Andrea Camilleri è seduto su un divanetto di vimini accanto
a un ventilatore all'ultimo piano della palazzina di sua proprietà,
dove è nato e cresciuto. Una palazzina alle spalle del municipio,
nè vecchia nè nuova, senza vista e con molto rumore. Interno
più disadorno che ascetico; la macchina da scrivere elettronica
è sistemata su un tavolino di legno pieghevole, da picnic.
"Non ho un buen retiro anche perchè detesto l'idea. Mia moglie
mi dice sempre che non sono uno scrittore ma un corrispondente di guerra,
poichè mi piace lavorare nel casino più totale, fra figli,
nipoti, amici che fanno confusione. Ho preso una casa in Toscana, qualche
anno fa, sulle pendici del Monte Amiata e c'era un tale silenzio che dopo
due giorni mi sembrava di impazzire. Così ho telefonato a una delle
mie tre figlie chiedendole di portami subito due nipoti, scelti fra i più
rumorosi. No, la retorica dello scrittore che cerca il silenzio non fa
per me".
Nè fanno per lui le vacanze di tipo tradizionale. "Come regista,
m'è capitato di lavorare ad agosto e di stare fermo a gennaio. Quanto
ai viaggi e al turismo, mah, meglio lasciare perdere. Tre anni fa ero a
Vienna con mia moglie e una figlia e, proprio mentre al museo ammiravo
la Torre di Babele, la pressione mi è salita a 300 e due inarrestabili
fiotti di sangue mi sono usciti dal naso. Mi hanno ricoverato in ospedale
e un ottimo medico dal nome inquietante, il dottor Sodoma, mi ha spiegato
che avevo avuto un piccolo ictus. Da quel giorno ho capito che un certo
tipo di vacanza può essere molto pericoloso".
D'estate gli piace: "Vedere un numero assai minore di persone, non
sentire continuamente lo squillo del telefono, sapere che a Roma c'è
molta posta che si va accumulando e non doverla aprire. Mi piace bestemmiare
contro il frastuono delle motociclette smarmittate, mi piace tambasiare".
Prego? "Sì, tambasiare: non far niente". Ma a Camilleri piace soprattutto
stirare. "Per riposarmi, per rilassarmi, per concentrarmi non c'è
niente di meglio. È una cosa che pregusto, d'estate come d'inverno:
stasera mi faccio una gran bella stirata. E vado avanti anche per due ore
di fila. Il punto è che sin da ragazzo ero un po' vanitoso, molto
esigente sulla piega dei pantaloni, che doveva essere perfetta. Così
mia madre si stufò e un bel giorno mi disse: impara a stirare da
solo. E sono diventato bravissimo".
"Stiro le mie camicie benissimo, meglio della cameriera, stiro anche
certe bluse plissettate delle mie figlie, molto difficili. Adopero il ferro
a vapore: che bello lo sbuffo! Ma ho anche riattivato un vecchio ferro
da stiro ottocentesco di quelli che si aprono e ci si mette la carbonella.
Il mio sogno sarebbe riuscire a stirare come fanno gli egiziani, gli uomini:
li ho visti al Cairo per la strada. Si riempiono la bocca d'acqua e poi
la spruzzano riuscendo a nebulizzarla, e stirano le loro galabje tenendo
il ferro con il piede: uno spettacolo".
La moglie Rosetta, milanese, fa rapide e premurose incursioni dal piano
di sotto: "Sei proprio sicuro di volere andare? Mi pare una cattiva idea.
Ricordati il cappello". Il cappello è una coppola leggera di cotone
beige, indispensabile per la gita sotto il solleone. "Quando andavo alla
Scala dei Turchi mi facevo sempre preparare u cuddiruni. Sarebbe un intruglio,
fatto con la pasta della pizza ricoperta di cipolle rosolate nel sugo di
pomodoro e mescolate al caciocavallo piccante; sopra si mette un altro
strato di pasta e si condisce con parmigiano grattugiato e origano. In
forno per venti minuti ed è una cosa fantastica".
Sei chilometri in macchina, attraverso il Lido Marinella e la periferia
"costruita in modo selvaggio", ed ecco la Scala dei Turchi. Che poi turchi
non erano, spiega Camilleri accendendosi un'altra sigaretta, ma pirati
saraceni. Per ammirarla senza fatica la postazione migliore è il
ristorante Madison, con terrazze e sale-banchetti, una media di quattro
ricevimenti di nozze al giorno, due a pranzo e due a cena. Camilleri si
mescola fra gli invitati vestiti a festa non riconosciuto da nessuno, schiva
i carrelli carichi di bomboniere e si appoggia alla balaustra gonfia di
buganville. Fissa a lungo il dirupo scosceso e abbagliante che tremola
nella calura, poi commenta: "D'inverno è ancora più bello".
Loda il cielo africano: "Un cielo come ho visto solo alle Canarie. Bisogna
venire qua di notte: si contano una ad una le costellazioni, e si distinguono
anche i satelliti".
Respinto con gentilezza l'invito a partecipare a uno dei banchetti,
il professore propone un pasto di pesce nel ristorante preferito di Montalbano,
l'Osteria di San Calogero. Che esiste veramente: non a Vigata, il paese
che non c'è, ma a Porto Empedocle, accanto a una delle due case
di Pirandello. Adesso si chiama in un altro modo: il vecchio nome San Calogero
è rimasto ma è minuscolo, sull'insegna trionfa la scritta
"Brasserie Piccola Bruxelles", e la musica di sottofondo è dei Pooh.
Di fronte alle alici marinate, alle polpette di sarde, alle triglie e al
polipo in insalata Camilleri conferma, come aveva già confidato
a Marcello Sorgi nel loro dialogo La testa ci fa dire che, sì, Salvo
Montalbano francamente comincia a stargli un po' sulle scatole.
Lo definisce "una parentesi rispetto a cose più complesse".
Per esempio quelle cui sta lavorando durante l'estate: tre, contemporaneamente,
in nessuna delle quali compare, neanche per sbaglio, il popolarissimo commissario.
"Si tratta di un romanzo, La scomparsa di Patò, che devo consegnare
entro settembre a Mondadori. Poi, per dicembre, c'è il Re di Girgenti,
per Sellerio, cui lavoro da cinque anni. Infine una riduzione teatrale
per Turi Ferro della Cattura, un racconto di Pirandello", che era cugino
di sua nonna. Intanto Rita Rusic prepara il film tratto da La mossa del
cavallo.
Quando, mesi fa, per curiosità e per divertimento, assistito
dal genero è entrato nel sito internet del Camilleri's fans club,
ha cercato di iscriversi, naturalmente in incognito: "Ma per diventare
socio bisogna superare un esame, un quiz di dieci domande su Montalbano.
Io ne ho sbagliate quattro, e dunque sono stato respinto". Devi prepararti
meglio, la scritta che è comparsa online.
Nega di essere circondato da invidie per le oltre quattro milioni di
copie vendute soltanto in Italia: "Al massimo qualche punzecchiatura. Certo
non ho subito il linciaggio che ha subito la Tamaro". Essere diventato
miliardario, garantisce, "non ha spostato di un millimetro la mia esistenza
ma ha significato un'enorme tranquillità psicologica nella vecchiaia".
Con i soldi ha comprato casa alle tre figlie. "L'altro giorno tutta la
famiglia, una grande famiglia patriarcale, era riunita a mangiare. Io ero
a capotavola e mi sono intenerito notando come fossero tutti gentili, tutti
così premurosi con me. Non ti montare la testa papà, mi ha
detto una delle mie figlie: hanno tutti l'occhio puntato sui diritti d'autore".
LAURA LAURENZI