Intervista ad Andrea Camilleri

[I primi minuti sono andati persi, NdT]

R - ...non praticante, sono stato in collegio di preti, il Convitto Vescovile di Agrigento. Ma anche allora anche da ragazzino,
per tutto quello che era la ritualità dell'andare a Messa, la Comunione, quello lo facevo ma non c'era nessun entusiasmo e nessuna convinzione. Non credo che questo atteggiamento agnostico, credo che sia la parola giusta, nasca da letture, da romanzi, da filosofie varie ma è un atteggiamento naturale, spontaneo. Io per esempio non ho mai saputo guidare un'automobile, per nessuna ragione a monte. Non ho neanche tentato di prendere la patente, non ho neanche tentato di prendere la patente di credente con questa stessa.

D - Quindi Dio non sta nella sua vita?

R - No, Dio non sta nella mia vita. Ci stanno molte cose nella mia vita, ci sta l'idea di spirito sicuramente, non ci sta materialismo banale o altro. Ci sta "Perché non possiamo dirci cristiani di Benedetto Croce". Ma la  fede, quella non ce  l'ho.

D - Le dispiace?

R - In un certo senso sì. Guardi che no lo dico a quest'età e sono 75 anni dove uno comincia un po'  a tirare i conti della propria esistenza e un po' di fede forse gli farebbe avere un po' meno paura, che è esattamente questo probabilmente. Chi ha fede ha una ragione, quindi meno paura degli altri. Ma non l'avevo neanche quand'ero giovane e già maturo. Ho un gran rispetto per la fede, ho un gran rispetto per quelli che hanno fede. Ho quasi ammirazione per le persone che hanno fede.

D - Ma perché uno ha fede e un altro non ce l'ha?

R - E questo io non lo dico per me che sia un bene. E' come uno che nasce con un handicap. Ecco io non provo nessun sentimento di fede. Fede religiosa naturalmente perché poi ho fede in tante altre cose.

D - E i suoi personaggi?

R - Naturalmente essendo i personaggi prodotti da me anche loro si trovano nella stessa situazione. A me si rimprovera, si è rimproverato anche pubblicamente, di disegnare male certe figure di preti. Ma i preti non sono il discorso che noi stiamo facendo e comunque non tutti sono della stessa specie. Non si parla di fede nei miei libri.

D - Ma un condannato a morte, uno che si trova nella difficoltà, dove si appella?

R - Non so a cosa si possa appellare un condannato a morte perché insomma a un condannato a morte io sono convinto che noi stiamo già facendo una grossa ingiustizia. Quindi il condannato a morte se ha la capacità, non menzognera, di vedersi aprire uno spiraglio di fede, bè io mi ci acchiapperei come un naufrago a una zattera.

D - In questi giorni si è parlato molto di eutanasia. In Olanda l'eutanasia è stata legalizzata. Lei che ne pensa di questo?

R - Per ciò che riguarda l'eutanasia io non ne sono contrario. Quando un individuo si trova costretto a patire dei dolori terribili e si sa che è condannato a morire perché fargli vivere un inferno sulla Terra? Un inferno negli ultimi giorni, negli ultimi mesi della sua esistenza. C'è da dire che il diritto alla vita in nome del quale si appellano quelli che sono contro l'eutanasia, non è il diritto alla vita di un individuo allo stadio terminale, non c'è più assolutamente niente da fare. Non è un suicidio, è un'altra cosa.

D - Dostoevski scrive "Se Dio non esiste tutto è possibile". Lei cosa ne dice?

R - Sono d'accordo. Sono perfettamente d'accordo [ride, NdT]. E credo che la fede sia una grande forza. C'è un verso di Cardarelli che dice: " Io sono un cinico che ha fede in quel che fa". Ecco io non sono un cinico, io ho fede in quello che faccio, fede nei rapporti umani.

D - Ecco ma con i suoi personaggi per esempio, lei inventa, scrive tutto il tempo personaggi.

R - Però non sento di essere un creatore assoluto, sono un mediatore della storia che mi circonda e che riverso nei miei personaggi. Il problema è quello del creatore assoluto, dal nulla. Dal massimo al minimo, non so chi possa essere il massimo, da Dante a Eschilo, etc. non facciamo altro che ricalcare, tutti compreso Dostoevski, o approfondire dati già dati - mi scusi il gioco -  perché è già stato scritto tutto. Dal momento che uno ha già letto Eschilo, Sofocle, Euripide, è un condensato dell'uomo, della morte, della vita, dell'aspirazione. Dopodiché tutti quelli che sono venuti dopo, non oso neanche mettermi perché sono nomi come Dante, non hanno fatto altro che definire, ricalcare, puntualizzare e aggiungere un dettaglio, un particolare. Chi può scrivere un qualche cosa come la Divina Commedia senza avere la fede vera, autentica, profonda? No. Quindi voglio dire
che non c'è una possibilità creativa, si può dipingere la Cappella Sistina senza avere la fede? Io credo proprio di no. Ecco perché la considero una limitazione questa mia.

D - Ma lei Camilleri non ha mai dei momenti di abbandono? In cui si lascia andare?

R - Io mi abbandono spesso e volentieri. Trovo piacere nell'abbandonarmi.

D - E' una forma di fede abbandonarsi?

R - No, no, non ho pudori, da costruirmi un'immagine. Se devo ridere, rido. Se devo piangere, piango. Se devo avere fiducia in una persona, ce l'ho. Mi è capitato, dicevo appunto siamo in tempi di bilancio, che l'apertura della fiducia nel rapporto umano, paga bene. Cioè ne rivedi del bene, la stessa fiducia che hai dato.

D -Mi racconti pure questo episodio avvenuto con il Papa Giovanni XXIII.

R - Quando era ancora patriarca di Venezia. Ero ad Assisi.

D - E cosa successe?

R - Successe che io stavo ad Assisi facendo uno spettacolo per la Pro Civitate Cristiana. Lo scenografo mi fece arrabbiare. Era la prova generale, c'era il patriarca di Venezia, altri due cardinali, un po' di vescovi. E io attraversai tutta intera la sala bestemmiando, salii in palcoscenico e diedi un cazzotto allo scenografo. Quando mi voltai non c'era più nessuno. Mi vergognai profondamente di questo fatto. Ecco pur non essendo credente, perché mi era parso di essermi abbandonato a un gesto di cattiva educazione spaventosa, ma proprio soffrivo internamente che a casa loro per uno spettacolo, io li avevo offesi. Ero convinto. E quindi andai da don Ernesto Rossi e gli dissi "Dico, guardi che io mi voglio scusare con...". Entrai da questo patriarca di Venezia e gli dissi "Io volevo scusarmi". "Ne ha ragione - mi disse - di scusarsi, non con me, si scusi con Dio se ci riesce". "E senta sono mortificato". "Capisco la sincerità del suo essere mortificato, ha agito male, bisogna che lei ci rifletta, non si lasci andare così stupidamente. Però - mi disse - non aveva mica tutti i torti a dare un cazzotto a quello scenografo!". Testuale, in presenza di testimoni [ride, NdT].

Alain Elkann

Testimoni, TMC, 31/12/2000. Trascrizione di Giò