Italia Radio 05.09.2000
Piccola grande Italia - Intervista ad Andrea Camilleri.
L'intervista, di cui qui riportiamo una trascrizione, è reperibile
sul sito di Italia Radio.
Trascrizione a cura di Maddalena Bonaccorso
I - Una buona serata a tutti e benvenuti all’appuntamento quotidiano
con le cronache di Italia Radio “Piccola grande Italia”. Oggi è
in studio un ospite d’eccezione: Andrea Camilleri.
Andrea Camilleri buonasera.
C - Buonasera.
I - E benvenuto a Italia Radio e a “Piccola grande Italia”.
C - Grazie.
I - Allora Camilleri, oggi sarà con noi per tutta la trasmissione;
però prima di introdurci e di parlare della sua vita, del mondo
di Camilleri, dei suoi romanzi e ovviamente della sua Sicilia volevo dare
una notizia a tutti gli ascoltatori: questa sera ci sarà un evento
particolarmente interessante per i romani, dato che si svolge a Roma. Questa
sera e fino al 10 Settembre al Fontanone Estate 2000 sarà di scena
“Il topo rode le sillabe, fiabe e filastrocche inedite di Andrea Camilleri”,
che verranno presentate nella suggestiva cornice del Fontanone del Gianicolo.
Camilleri, che tipo di fiabe sono?
C - Ma, siccome vado dicendo appena posso che sono un nonno felice
vorrei subito non far cadere nell’equivoco: non si tratta di favole per
bambini, tutt’altro. L’origine di questa storia, cominciare a scrivere
favole, ha avuto inizio tre anni fa, quando una cooperativa di detenuti
ed ex detenuti mi chiese una favola amara. Io non avevo mai scritto favole
in vita mia, la cosa mi divertì e glie ne ho scritta una. E così
di tanto in tanto ne scrivo qualcuna. Sono favole, come dire, che traggono
spunto dalla realtà quotidiana, da certi fatti che mi hanno colpito.
Infatti, quando saranno pubblicate dalle Edizioni dell’Altana di Roma alcune
di quelle che si recitano al Fontanone, saranno intitolate “Le favole del
tramonto”. Ed è un suggerimento, diciamo un furto, via!, operato
da parte mia su Vittorio Alfieri, quando dice che le ultime cose che ha
scritto nella sua vita sono dettate “dall’umor nero del tramonto”. Ora,
io umor nero ce ne ho poco, e quindi le favole sono poche..
I – Appunto, amarezza. Posso parlare un attimo dell’ironia di Camilleri,
perché insomma lei parla di amarezza ma riderci su, sdrammatizzare
con un sorriso, è stato sempre il suo segreto e il segreto dei personaggi
dei suoi romanzi, dei suoi racconti.
C – Beh, anche se fare dell’ironia certe volte costa. Costa fatica,
perché vorrebbe invece uno abbandonarsi alla rabbia, che è
molto più facile, invece l’ironia è un intervento dell’intelligenza,
in fondo, un prendere la distanza dagli eventi, è una cosa che consiglio
a tutti. Perché credo che oggi, da noi, nel nostro paese, ci sia,
oltre a una mancanza di posti di lavoro, una mancanza di ironia. E io quando
sento giornali, radio, ci sono cose in televisione che faccio continuamente,
mi accorgo di centinaia di occasioni sprecate, quante buone cose, soluzioni
si sarebbero trovate se non avessimo alzato il tiro, il tono, se non avessimo
preso tutto tragicamente sul serio. Ci sono molte cose serie, per amor
del cielo, ma non sono tutte.
I – E proprio a proposito della sua ironia, continuando in questo,
vorremmo un po’ curiosare nella sua vita. Il grande successo editoriale
che ha avuto in questi ultimi anni forse ha un po’ rivoluzionato la sua
vita. Lei come ha preso questa grande notorietà, e anche, diciamo,
a livello economico, sicuramente c’è stato un incremento... Com’è
cambiata la sua vita, se lo è, come ha affrontato il successo?
C – Io parto da un principio, anche questo è un altro furto,
solo che non so più chi è il proprietario, però l’ho
sentito dire e me ne approprio immediatamente: “Il successo cambia solo
gli imbecilli”, diceva questo signore. E io proprio lo sottoscrivo in pieno.
Oltretutto un successo che arriva passata la settantina che cosa vuole
che cambi? Cambia sostanzialmente nulla, cambia la vita nel senso che devi
cominciare ad alzare delle difese, per le telefonate… insomma, dal primo
marzo io ho cominciato a schedare tutti i manoscritti che mi mandano e
sono arrivato a 302. Allora questo significa che uno non può più,
non dovrebbe teoricamente più lavorare, e leggere le cose degli
altri, e rispondere alle lettere. In questo senso è un’invasione
un po’ pesante, anche perché avrei voglia di leggere tutto e di
rispondere a tutti.
I – E beh, certo, ma manca il tempo…
C - Ma manca proprio veramente il tempo. Per quanto riguarda
invece il fatto economico, guardi io che sono, ero, un pensionato, continuo
ad esserlo, insomma, è un poco confuso, un pensionato della
RAI… Trent’anni di servizio. Mia moglie è una pensionata INAM con
trent’anni di servizio. Quindi tutti e due pensavamo di avere una serena
vecchiaia da pensionati senza grossi problemi ma neanche senza possibilità
di fare grosse spese. Sono cominciati a piovere soldi, e mi hanno dato
grosse soddisfazioni, primo perché uno scopre che anche in Italia
volendo si può campare facendo lo scrittore, avendo un po’ di fortuna;
un po’ tanta, eh! E’ che questo successo mi rende inquieto, siccome non
riesco a capirne tutti i motivi che ci sono dietro, mah, qualche volta
divento un po’ nervoso... Certo, ha portato una tranquillità psicologica
enorme. In vecchiaia uno pensa “se sto male, dio mio”, oppure “sistemo
una figlia, le compro una casa”, queste sono proprio cose meravigliose,
è una fortuna. Insomma, io devo dichiarare di essere sempre stato
fortunato nella mia vita; cioè a dire che anche quando lavoravo,
e duramente, ho sempre lavorato facendo il mestiere che mi piaceva.
I – Una passione che è diventata lavoro.
C – Sì, fare teatro, per esempio
I – E’ una delle più grandi fortune che possano capitare.
C – Non c’è dubbio. E la debbo a chi per tutta la vita è
costretto a fare cose che non gli piacciono per guadagnarsi il pane.
I – Ecco, Camilleri; lei è siciliano, è arrivato a Roma,
è arrivato nella capitale da giovane, quindi c’è stato questo
passaggio dalla sua terra a Roma. Roma, città grande, com’è
stato l’impatto e l’impressione che ha avuto allora e com’è cambiata
Roma, come l’ha vista crescere e cambiare in questi anni?
C- Mah... com’è cambiata Roma... L’impatto non è stato
un impatto. Certo, io venivo da un piccolo paese, anche se poi avevo fatto
l’Università a Palermo che già era una cittadina, ma è
una cosa diversa. Però dopo un anno che stavo a Roma, tornando in
Sicilia e ritornando a Roma ebbi l’impressione strana e curiosa di ritornare
in un’altra casa. Che Roma aveva allora questa capacità di straordinaria
accoglienza...
[….]
Io abitavo a Piazzale degli Eroi, non c’era ancora la fontana. C’era
Viale Medaglie d’Oro, questa grande strada, questa grande arteria, dove
si andava a spasso con la ragazza, due o tre fornaci, due o tre villette;
la sera le mandrie risalivano verso Monte Mario alto. Quella era una città
magica; era magica nel senso che gli incontri, insomma, incontrare Flaiano
immobilizzato dal sole, come è capitato a me, in un rettangolo di
ombra, incapace, alle due del pomeriggio, in un pomeriggio di luglio caldissimo,
di spostarsi di un passo nel terrore di essere ripigliato dal sole; quindi
stare un’ora a parlare con lui, il tempo che il sole girasse, sono cose
meravigliose. O incontrare Cardarelli in luglio vestito col cappotto e
la sciarpa e i guanti, che faceva impazzire i camionisti che passavano,
perché allora potevano traversare Piazza del Popolo, perché
lui soffriva sempre di freddo. Lunghe passeggiate notturne con Mario Mafai
conosciuto occasionalmente in un bar che si chiamava “Luxor” e che ora
è diventato “Canova” dove convenivano tutti, non so… Ciccio
Trombadori, Mafai, i pittori della scuola romana. Era magica Roma, in quel periodo;
ora non dico che sia la mia età che mi impedisce di uscire, però
qualche cosa è sostanzialmente cambiata.
I – La magia è rimasta, ma in un caos…
C – Si, bisogna andare un po’ a cercarla, prima veniva da sola.
I – Ecco Camilleri, vogliamo arrivare alle sue opere, al grandissimo
successo editoriale, il commissario Montalbano. Un genere giallo per eccellenza,
ecco, ma perché questa scelta? Il giallo che è un genere
che appassiona tantissimo le persone; passano le mode, passano gli anni
ma il giallo resta.
C – Beh, il giallo per esempio uno lo trova nella Bibbia, notava Leonardo
Sciascia. Nel libro del profeta Daniele ci sono due indagini gialle fatte
dal profeta Daniele che sono una meraviglia e che mi riprometto un giorno
o l’altro di scrivere per portarle a conoscenza perché non tutti
leggono la Bibbia malgrado il nostro ministro l’abbia promossa, facendo
benissimo, facendo benissimo a fare questo tipo di promozione. Ecco, in
generale è così. Però per ciò che riguarda
me personalmente, grande lettore di gialli, com’era mio padre… quindi io
ho cominciato a leggere Simenon che avevo otto anni, e poi Conan Doyle,
e tutti, cioè, i Gialli Mondadori che costavano allora, non so 2
e 50 lire, l’edizione rilegata costava 5 lire, erano libri più raffinati.
Ho sentito la necessità, è stato un “pensum”, cioè
un compito, un proposito, perché io scrivendo i romanzi storici
che scrivevo prima -cosiddetti storici perché di storico hanno solo
il punto di partenza, l’avvio, poi per il resto me ne vado per i fatti
miei- scrivevo in un modo e continuo a scrivere questi libri in un modo
disordinato; cioè io parto a scrivere il libro da un episodio che
più mi ha colpito e attorno attorno ci costruisco il romanzo. E
poi questa parte iniziale può essere all’inizio, alla fine, in mezzo,
va a sapere dove..
Allora mi sono detto “Ma tu sei capace di scrivere un romanzo dalla
A alla Z?”, capitolo primo, “Era un’alba, era una notte scura e…” dell’immortale
Snoopy. E allora la gabbia maggiore, migliore per uno scrittore è
il giallo, dove tu non puoi barare col lettore, tutto deve avere
una logica, una consequenzialità i tempi, i temporali, etc..
Allora mi sono messo lì, capitolo primo e ho scritto il primo
giallo, e mi è venuto fuori questo signor Montalbano, che io ho
chiamato Montalbano perché il cognome Montalbano è diffusissimo
in Sicilia.
I – Come il nome Salvo, poi…
C – Come Salvo, figurati . Ma il cognome Montalbano è anche
un omaggio a Vázquez Montalbán, non per Pepe Carvalho, col
quale il mio commissario non ha nulla da spartire, manco la cucina, soprattutto
la cucina. Ma proprio perché Montalbán aveva scritto un libro,
un giallo, “Il pianista” che mi ha dato la chiave di struttura del mio
romanzo “Il Birraio di Preston”. E allora così, neanche lo conoscevo,
ho voluto chiamare così il commissario Montalbano.
I - Lei diceva prima che è stato molto fortunato nella sua vita
perché è riuscito a fare sempre cose che le piacevano. Visto
che siamo in una radio -lei per tanti anni ha fatto radio, ha lavorato
alla radio- le volevo chiedere appunto se, cosa le ha lasciato il ricordo
di questo lavoro e come giudica la radio oggi, se è cambiata,
se le piace, non le piace più.
C – Io ho fatto 1300 regie alla radio. Un buon numero di sceneggiati.
Ho cominciato io a fare i romanzi sceneggiati alla radio con “Rocambole”
che allora parevano enormi, 40 puntate, Dio mio, chi le regge 40 puntate,
eh... Cominciammo…
Poi ho fatto tutti gli esperimenti in stereofonia, fonologia a Milano.
Mi hanno insegnato diverse cose; che la parola da sola è capace
di evocare qualsiasi situazione, qualsiasi ambiente. Via via che mi perfezionavo
a fare il regista mi accorgevo che non c’era mica bisogno di fare “iiiiihhh”
per far sentire una porta che si apriva, era la parola che lo suggeriva.
I – Non c’era bisogno dell’effetto sonoro…
C - Esatto. Allora, per uno che poi avrebbe tentato di fare lo scrittore
si rende conto che è fondamentale.
I – Ecco lei ha toccato un po’ tutti i mezzi di comunicazione, appunto
la radio e anche con la televisione ha avuto dei grossi contatti. Lo stesso
commissario Montalbano non è soltanto un caso editoriale di grandissimo
successo ma è diventato un caso televisivo da quando appunto è
stato rappresentato in televisione. E qui arriviamo al protagonista, all’attore:
Luca Zingaretti. Azzeccato o no?
C – Si.
I - Azzeccatissimo?
C – Allora, io non sono entrato minimamente in ciò che riguarda
la distribuzione delle parti in questo sceneggiato televisivo. La responsabilità
è tutta del regista e del produttore. Così come non sono
mai andato sul set durante le riprese salvo una volta. Perché, vede,
sono schizofrenico. Cioè a dire, sono un autore ma sono stato anche
un regista, e so che rottura di scatole disumana è la presenza dell’autore
sul set o in teatro, quindi ho risparmiato al mio regista questa ingombrante
presenza dell’autore. Avevo qualche dubbio non su Luca Zingaretti, perché
Zingaretti è stato allievo mio all’Accademia di Arte Drammatica…
I- …dove lei insegna..
C - …dove ho insegnato 26 anni; e quindi ne conoscevo le capacità,
ma non aveva secondo me né l’età perché troppo giovane…
I – …ecco, infatti questa è una delle critiche che è
stata mossa…
C – …e certo perché Montalbano ha 50 anni compiuti; ha la crisi
dei 50 anni. Però anche qui, cadevo in una sorta di mia personale
stupidità. Quante volte ero andato a vedere un “Amleto” uscendone
felice e quell’Amleto aveva quarant’anni, la pancetta, era calvo, e riusciva
a darla a bere. Ecco, l’attore deve riuscire a farti credere che in quell’ora
e mezzo, due ore, lui è l’unico Montalbano o l’unico Amleto possibile.
Zingaretti c’è riuscito in pieno, quindi perfettamente soddisfatto.
I – Ecco, ma lei ci pensa a volte che, insomma, questo caso nazionale
del commissario Montalbano ha fatto pensare milioni di persone nell’immaginare
il viso, il volto, e il fisico di questo commissario; i suoi lettori che
si sono concentrati tantissime volte per capire come potesse essere il
commissario Montalbano, che effetto le fa?
C – Sa che cosa c’è? Che era anche una delle paure che avevo
per lo sceneggiato, perché avevo scoperto che ogni lettore si era
fatto un suo Montalbano a sua immagine e somiglianza. Io stesso, io stesso
non riuscivo neanche a localizzarlo fisicamente il mio Montalbano. Poi
un giorno un professore dell’università di Cagliari […] mi telefonò
e mi disse: ”Senta, ho fatto un corso sul “Birraio di Preston”, vuol venire
all’università a chiudere questo corso?” Ci andai, dico “Non la
conosco”, “La conosco io” mi dice, “Come faccio a riconoscere lei?”, “Avrò
il “Birraio di Preston” sotto il braccio”.
Arrivando all’aeroporto ho visto Montalbano col “Birraio di Preston”
sotto braccio.
Allora ‘sto povero professore universitario, serissimo studioso, ogni
tanto riceve domande di fotografie sue perché pensano, avendo detto
questo io, che l’unico Montalbano possibile sia lui; l’hanno perfino
invitato a recitare, ma giustamente si è rifiutato.
I- Allora, vogliamo fare un’ultima domanda prima di passare ad altri
argomenti, sul linguaggio che Camilleri utilizza nei romanzi. Linguaggio...
un linguaggio particolare, diretto, che arriva, che comunica, questo è
indubbio, è riconosciuto. Però c’è il siciliano che
potrebbe essere un elemento discriminante per i lettori e invece
non lo è, è riuscito ad unire il nostro nord e il nostro
sud malgrado sia un italiano-siciliano o un siciliano mezzo italiano, insomma.
I- Si, si, questo è vero. E io mi scuso verso quei lettori che
hanno dovuto faticare un po’ per leggermi, ma è l’unico modo mio
di esprimermi. Cioè, io ci avevo provato prima, come no, ho fatto
tante ricerche, tanti anni a provarci e riprovarci, ma avevo il fiato corto.
Cioè riuscivo a scrivere in buon italiano una novelletta di una
pagina e mezza, poi mi mancava il fiato; le parole che adoperavo erano
buone per scrivere una lettera d’amore, per scrivere al prefetto, per scrivere
una domanda alla RAI, ecco, voglio dire, buone per tutti gli usi; ora,
le parole per scrivere non sono buone per tutti gli usi. Ecco, questo è
evidente anche negli scrittori veramente scrittori… ecco.
E allora mi sono inventato questo linguaggio studiando il perché
di certe mie comunicazioni verbali che arrivavano molto decise per esempio
a casa, con amici, e a costruire questo linguaggio piccolo borghese adoperato
da noi, un misto di italiano. Trovai una spiegazione molto bella in Pirandello,
discutibile, ma per me andava benissimo che dice “di una data cosa la lingua
esprime il concetto, della medesima cosa il dialetto esprime il sentimento”.
I – E’ più pregnante.
C – E’ più pregnante, infatti tante volte io dico “come si dice
in italiano?” Ecco.
I – Questa è insomma la domanda che si pone…
[Intervento di un missionario]
I – E torniamo a parlare con Andrea Camilleri. Abbiamo sentito questo
servizio, questa testimonianza, di questi missionari che corrono questi
pericoli. Lei ha mai pensato nella sua vita, le è mai balenato in
mente di poter intraprendere una vita del genere?
C – Non ho mai avuto questa generosità, purtroppo, perché
chiaramente si tratta di gente che è più generosa di noi
che ce ne stiamo qua, perché questi stanno in prima linea, comunque,
sempre. Certo non hanno in mano un fucile ma hanno tutt’altre intenzioni
e tutt’altri scopi. Però trovo ignobile che si piglino tre persone
e le si trattino come merce di scambio. Questo è ancora un senso
di totale non raggiungimento di una vera civiltà dell’uomo.
I – La presenza oggi di Andrea Camilleri ha richiamato l’attenzione
di tantissimi ascoltatori che vogliono rivolgerle delle domande. Hanno
telefonato al numero verde di Italia Radio che è l’800274345, quindi
noi invitiamo altri ascoltatori a chiamarci e a parlare direttamente con
Andrea Camilleri. Vogliamo sentire la segreteria arrivata a questo numero?
S – Salve, sono Maria e volevo fare una domanda a Camilleri, proprio
a proposito della lingua. Leggendo i suoi libri mi sembra di intuire, di
capire, che si può scoprire la mentalità siciliana solo parlando
la lingua, proprio la lingua, diciamo il dialetto siciliano. Volevo sapere
se è vero. Grazie.
C – Beh, in parte è vero. In fondo questo è il tema del
mio romanzo “La mossa del cavallo”. Quando il protagonista, che ha perso
il suo dialetto siciliano natìo, si trova in una situazione difficile,
recupera il suo dialetto, perché le parole sono le cose. Cioè
a dire, lui, per capire le motivazioni che spingono gli altri, per trovare
una formula di difesa, deve usare lo stesso linguaggio esatto degli altri.
Altrimenti le sfumature o altre cose gli sfuggiranno inevitabilmente. Io
credo che la verità di qualsiasi regione, non solo della Sicilia…
Insomma, quante cose abbiamo capito attraverso Goldoni? O quante cose abbiamo
scoperto della mentalità dei genovesi attraverso Gilberto Govi?
E non parliamo di Eduardo, vero? Ecco, cioè, voglio dire, la lingua,
il dialetto quindi, parlato dal popolo, da certe etnie, da certe persone,
da certe regioni, è l’espressione del suo modo di pensare, del suo
modo di vivere.
I – Ecco, ma... dai suoi libri, dai suoi romanzi, dai suoi racconti
scopriamo ancora una volta che la Sicilia è un’isola a sé,
un’isola a parte, non è il Meridione. Anche dallo stesso commissario
emerge un personaggio siciliano ma non meridionale, caldo ma non troppo,
divertente ma anche malinconico, intelligente ma chiuso. Insomma, una Sicilia
che ancora una volta torna ad essere una terra a parte. Una terra a sé.
O sbaglio?
C – Mah, purtroppo, purtroppo, è una terra a sé. Cioè
a dire è una terra che, in questo suo perimetro non grandissimo
di isola, ha subito 13 dominazioni una appresso all’altra, dalle quali
dominazioni ha preso il meglio o il peggio, eh. Proprio degli spagnoli,
dei francesi, dei normanni, gli svevi, gli arabi non ne parliamo… Quindi
voglio dire è complessa, è come di fronte.. se lei dovesse
analizzare una pietra composta da una quantità enorme di elementi
diversi, dovendoci trovare che so, il calcio, il silicio, ci trova anche
che so io, cose umane, resti, è questo..
I – Un misto di tutto…
C – Un misto di tutto, e quindi ogni volta c’è un aspetto nuovo,
in questo prisma continuo. Dicevo purtroppo, questo è stato anche
un disperato tentativo di salvezza della propria identità, che ha
portato a delle conseguenze orrende. Ecco perché io sono un fautore,
tra l’altro, del ponte sullo Stretto.
I – Ah, lei è un fautore del ponte sullo Stretto?
C – Sì sì… e così finisce questa benedetta sicilitudine
e non se ne parla più. Speriamo di essere al passo coi tempi.
I – Bene, ora abbiamo un’altra segreteria, ci fanno un segno dalla
regia.. Allora ascoltiamola immediatamente
S – Voglio ringraziare Camilleri, io non so da quanti anni non leggo
un libro, finalmente da quando ho scoperto questo personaggio, diciamo,
li ho letti tutti quest’estate. Sono un imprenditore e la sensazione che
ho avuto è che con Camilleri si può di nuovo discutere, ragionare...
un po’, io ho cinquant’anni, mi succedeva circa 20 anni fa quando sentivo
parlare Pajetta o Berlinguer. E’ una cosa bellissima, vi auguro tante cose.
Ciao.
I – Ecco, con Camilleri si può parlare, ragionare e discutere.
C – Grazie.
I – Ha detto l’ascoltatore. Ha fatto addirittura un paragone con
Berlinguer.
C – Beh, per amor del cielo, mi turbano e mi commuovono… però
è una cosa di cui vado orgoglioso e grazie a lei che l’ha capito.
Con me si può veramente discutere, si può ragionare, poi
se scopro di avere torto lo dico apertamente salvo poi nel chiuso di una
stanza dare la testa al muro e picchiarmi… Ma, diciamo pubblicamente si
può ragionare. Ecco, la ringrazio vivamente. E poi c’è un’altra
cosa che mi piace sempre sentirmi dire quando me lo dicono. Lei ha detto
“da tanto tempo non leggevo un libro”, oppure c’è gente che mi viene
a dire “sa che io non avevo mai letto un libro?”. Ora, di questo vengo
in parte elogiato e in parte accusato, cioè di praticare una letteratura
tanto bassa che chiunque può salirvi sopra, come una sorte di zattera
della disperazione. Ah beh, ma meno male che ci sono saliti sopra, su questa
zattera. Speriamo che passi invero una vera nave bella, elegante e lussuosa
che li salvi e li imbarchi.
I – Ecco ricordiamo ancora una volta il numero verde, per chiamare
ItaliaRadio e lasciare i vostri messaggi, che è l’800274345 e anche
il nostro sito internet dove potrete vedere Camilleri con noi qui in diretta
a ItaliaRadio: www.italiaradio.kataweb.it. Ma c’è un’altra segreteria.
S – Clara da Bologna. Penso a Camilleri per la cosa del dialetto. Io
ricordo una magnifica poesia di Ignazio Buttitta, che appunto diceva che
togliere a un popolo la lingua dei padri, cioè il dialetto, il popolo
perde proprio veramente qualsiasi dignità e anche la facoltà
di ribellarsi alle ingiustizie. Il dialetto è una cosa fondamentale
secondo me, purtroppo però si sta perdendo e infatti si vede poi,
si vedono le conseguenze. Buongiorno.
I – Il dialetto, l’importanza del dialetto, Camilleri.
C – Il dialetto è la linfa vera e vitale della lingua. Se si
perdono i dialetti, e purtroppo si stanno perdendo, certi risultati Istat
dicono che il 28% degli italiani ormai parlano il proprio dialetto; io
lo trovo sconfortante, perché è un albero che muore. Un albero
che muore, senza linfa, non si rinnova. Il movimento della lingua è
dalla periferia al centro. Sono parole che nascono nella periferia, nei
dialetti e si innestano nel corpo vivo della lingua italiana. Se questo
non avviene avvengono innesti estranei. Io capisco che per la tecnologia
bisogna assolutamente avere l’uso di una lingua universale come è
diventato l’inglese, ad esempio, no? Ma per tante altre parole… eh…
I – L’inglese lasciamolo alla comunicazione facile, così, per
conoscersi un po’, ma per le cose profonde usiamo il dialetto.. Allora,
abbiamo ancora un’altra segreteria, ascoltiamola..
S – Mi chiamo (...) e chiamo da Catania. Voglio ringraziare Camilleri
e chiedergli se è nei suoi programmi di portare anche nelle piazze
italiane quel meraviglioso lavoro che sta andando, che è in programma
in queste sere a Catania in Piazza Duca di Genova che è una traduzione
di “Molto rumore per nulla”. Azzeccatissima e molto carina, spero che possa
essere diffusa anche tra il pubblico che ama il linguaggio di Camilleri.
Grazie.
C – Grazie a lei che mi dà notizie di un spettacolo che non
ho visto, dato in contemporanea mentre qui a Roma andava in scena lo spettacolo
sulle mie favole fatto da Maria Luisa Bigai al Fontanone.
Ecco, quella è una traduzione di “Molto rumore per nulla” di
Shakespeare che io e Giuseppe Dipasquale, regista e cotraduttore, abbiamo
tradotto in “Troppu trafficu ppi nenti”, che è esattamente la traduzione
di “Molto rumore per nulla”.
C’è stato un critico, molto intelligente, devo dire, molto spiritoso,
che ha scritto che ha trovato in questo titolo, nella scelta dell’opera
da parte mia una sorta di somma saggezza, cioè come se io dichiarassi
“ma quanto rumore fate attorno a me che non sono nulla?”.
Non arrivo a tanto di umiltà, quindi la scelta è stata
di tutt’altro genere, per tutt’altro motivo. Non so se lo porteranno in
giro, perché è da due anni che io mi occupo di questi spettacoli
della prosa catanese, sono prodotti dal Municipio, dal Comune di Catania
e sono loro a decidere se portarlo. A me piacerebbe moltissimo, ecco, se
lo portassero in giro.
I – Ecco Camilleri, tantissime le sue attività sia nel passato
che nel presente, ma adesso per concludere il nostro incontro… Come si
sente nel dovere iniziare un nuovo lavoro, un nuovo libro sapendo di rivolgersi
a qualche centinaio di migliaia di lettori in più? I suoi libri
sono primi nelle classifiche, i lettori attendono in libreria ansiosi il
suo nuovo lavoro.
C – Ho ricevuto, siccome ieri ho fatto 75 anni…
I – Auguri, allora.
C – Grazie. Ho ricevuto, fra i vari, come si chiamano queste cose che
si scambiano…
I – Messaggini d’auguri.. ah. Gli emails.
C – Gli emails. Ho ricevuto un email che diceva “Non invecchi, Camilleri.
Faccia invecchiare noi, perché la mia speranza è che un giorno
mio nipotino possa attendere con ansia l’uscita del nuovo libro di Camilleri.”
L’ho trovato bellissimo questo email.. Qual era la domanda?
I – La mia domanda era appunto come si pone nei confronti di questo,
dei nuovi lavori che deve affrontare? E dobbiamo rispondere in fretta perché
il tempo è tiranno.
C- Non mi sposta di un millimetro, scrivo quello che devo scrivere.
I – E su questo bellissimo augurio che le hanno mandato in questa email,
salutiamo Camilleri, lo ringraziamo per essere stato qui con noi. Buonasera
Camilleri e allora arrivederci al prossimo appuntamento, speriamo di averla
presto di nuovo con noi.
C – Verrò volentieri, grazie.