Articolo tratto da "Stilos" (supplemento letterario de "La Sicilia") del 15/08/2000
Il sasso in bocca? No, nella scarpa
Imminente il romanzo La congiura dei loquaci, che può essere visto come un controcanto del Giorno della civetta: invece dell’omertà il tema è quello della delazione. Tutti parlano e accusano per coprire la mafia. E c’è anche Sciascia come comprimario, con il suo eterno nodo della giustizia
Storia vera. Anzi invenzione sciasciana
Gaetano Savatteri, giornalista trapiantato a Roma, nativo di Racalmuto, cresciuto nella redazione di "Malgrado tutto", ha scritto un romanzo sciasciano che sin dal primo capitolo pone, sciascianamente, il tema, anzi il problema, della giustizia. "Tutto, in Sicilia diventa un problema di giustizia" dice Sciascia e Savatteri ha voluto farne argomento per un libro su un fatto vero, accaduto nella Racalmuto dell'immediato dopoguerra:
"Nel '44 a Racalmuto uccisero il sindaco e venne condannato un uomo che nell'opinione corrente dei paese è sempre stato creduto innocente. Partendo da questo episodio ne ho fatto un romanzo, servendomi anche di atti processuali e testimonianze. E ho così scoperto che in quella vicenda si trattò di sacrificare qualcuno per coprire altri. Non si ebbe omertà, ma si ebbero decine di testimoni che si presentarono ai carabinieri dicendo cosa avevano visto e sentito".
Ecco il significato dei titolo: La congiura dei loquaci.
"Esatto: una congiura di gente non omertosa, ma che parla troppo. Non è il silenzio a diventare colpevole, ma sono le parole colpevoli, perché servono a mandare in galera uno che probabilmente non c'entra per coprire un delitto che ha le caratteristiche dei delitto mafioso".
La gente parla per coprire l'assassino?
"Ognuno parla per un proprio interesse, perché quel delitto di mafia non deve apparire tale. Il sindaco viene messo lì dagli americani, è socio del boss don Calò Vizzini, è gabelloto di zolfare: un personaggio che nel momento in cui viene ucciso è già morto nel cuore degli amici, come si dice in Sicilia. A quel punto piuttosto che fare comparire la suo morte come un delitto di mafia e per evitare di innescare una serie di sospetti, riesce più conveniente costruire una congiura che incastri il poveraccio di turno".
Dove finisce la verità e comincia la finzione?
"La realtà sta nel punto di partenza: un uomo vieneucciso e un altro è accusato forse ingiustamente. Frutto di fantasia è tutto il resto: l'ambientazione in un paese della Sicilia, i dialoghi, le situazioni. Sono meno di fantasia alcuni verbali di polizia che forse ricalcano quelli autentici, ma è immaginario il personaggio che è il testimone, un ufficiale siculo-americano che si trova in quei due giorni (quanto si sviluppa la vicenda) in paese per una missione speciale e che incontra tutti i personaggi. A un certo punto questo tenente incontra anche un giovane intellettuale che somiglia per certi versi a Sciascia".
Impostato così, il romanzo sembra una parodia antifrastica del Giorno della civetta che discorre sul tema dell'omertà.
"Parodia no. Ma essendo io di Racalmuto ed essendomi sempre nutrito dei libri di Sciascia, non potevo non risentirne. Nel mio libro c'è anzi un omaggio esplicito a Sciascia, laddove il primo capitolo rimanda al Giorno della civetta: la piazza, il morto lì in mezzo. Un omaggio che ho voluto rendere ancora più esplicito facendo passare un personaggio di intellettuale che parla con le parole di Sciascia. Peraltro pubb1icare con Sellerio che fu la casa editrice di Sciascia è un elemento di maggiore legame con lo scrittore di Racalmuto".
Ma anche lo stile del romanzo appare molto sciasciano.
"Chi scrive nella mia zona si muove dentro confini precisi: Regalpetra, Girgenti e Vigàta, per cui di volta in volta o si è sciasciani o pirandelliani o camilleriani. La mia scelta non è stata nel senso di ignorare questo perimetro ma di prendere atto che esiste".
Nino Trovato
la Repubblica - Giovedì, 10 agosto
2000 - pagina 43
di SILVIA FUMAROLA
"Io, un detenuto senza
più radici"
MANFREDI: STAVOLTA VI FARÒ COMMUOVERE
L' attore torna a un ruolo drammatico con "Una storia qualunque" di Alberto Simone: andrà in onda su RaiUno in autunno
ROMA - Un vecchio dallo sguardo smarrito, i capelli lunghi sulle spalle, si aggira nel giardino di una vecchia casa. Nino Manfredi porta gli occhiali spessi, una camicia scozzese: a 79 anni, dopo tante commedie, torna a interpretare un ruolo drammatico nel film Una storia qualunque di Alberto Simone, che andrà in onda su RaiUno la prossima stagione. Un film girato in famiglia - il regista è il marito della figlia dell' attore, Roberta, e insieme hanno pensato il soggetto - sul set recita il nipotino di Manfredi, Matteo, otto anni "un talento naturale". "Sono felice di interpretare questa storia, che è bellissima, commovente" spiega Manfredi "il mio ruolo è quello di un anziano detenuto, scarcerato dopo aver scontato 28 anni di galera, innocente, talmente terrorizzato dall' idea di ritrovarsi, solo, in una città che non conosce più, che tenta di scippare una donna per tornare in carcere". Si occuperà di lui un giovane avvocato idealista, Bruno Volkowitch, che riapre il caso. "Raccontiamo un errore giudiziario ma non è un film di denuncia, quello che ci interessa è raccontare la vita di un uomo che si ritrova senza radici e senza futuro" continua Manfredi, che paragona questa storia a un film indimenticabile, Pane e cioccolata di Franco Brusati, in cui interpretava un emigrato in Svizzera. "C' è la stessa atmosfera malinconica. Michele, il mio personaggio, si ritrova a fare il girdiniere in un villino dove abitano la figlia, il figlio con la moglie e il nipotino: nessuno lo riconosce, è come se l' avessero cancellato. Ma lui è felice lo stesso di spiare la loro vita, di farne parte, ai margini; l' unico con cui instaura un rapporto speciale è il nipote, che poi è Matteo, il figlio di Roberta, il mio amore. è stata una scoperta, una vera emozione: parliamo, mi chiede consigli. Tante battute le improvvisa: è un vero talento". Per Manfredi, una carriera cinematografica costruita con ruoli bellissimi - Il padre di famiglia, C' eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, In nome del papa re, Per grazia ricevuta - lavorare per la tv ha significato aprire un nuovo capitolo. "Mi hanno scoperto i più giovani, i ragazzini" spiega "Che ne sanno del cinema italiano? Per loro sono il nonno di Linda e il brigadiere... Se il nostro cinema avesse più coraggio, Una storia qualunque poteva tranquillamente uscire nelle sale". Nel cast ci sono Agnese Nano, Bruno Volkowitch, Antonio Manzini, Valerie Leboutte, Melanie Gerren, Carlo Croccolo, Giancarlo Dettori, Lella Serao. Simone, che aveva già diretto Manfredi diverse volte (Colpo di luna è stato premiato in svariati festival internazionali), definisce Una storia qualunque, di cui firma la sceneggiatura con Silvia Napolitano, "una commedia sentimentale. E' un grande omaggio alla carriera di Nino. Il progetto è nato in famiglia, da una richiesta di Roberta che desiderava rivedere Nino interpretare un grande personaggio. Vanno benissimo i brigadieri, con cui ha conquistato le nuove generazioni, ma da tempo Nino non faceva un ruolo drammatico. Si affida molto, ormai si è consolidato un rapporto di estrema fiducia". E' creativo o metodico? "E' un artigiano: lui ha sempre detto di non aver avuto il talento di Gassman e Sordi, si è saputo conquistare le cose poco alle volta. In questo senso, è un metodico". Roberta Manfredi spera che la fiction "neo-neoreralista" prenda piede. "Almeno diversifichiamo i pubblici, moltiplichiamo l' offerta. Non bisogna affidarsi solo ai personaggi stereotipati, la tv può diventare il mezzo ideale per raccontare "altre" storie. Quando penso alla qualità mi viene in mente Il commissario Montalbano, il pubblico ha premiato una scelta coraggiosa e Raifiction ha fatto un' operazione culturale, facendo scoprire Camilleri a chi non aveva letto i suoi libri. Ai tanti registi che guardano la tv dall' alto in basso, dico di tirare fuori i progetti che magari sono rimasti nel cassetto per anni: è meglio farli per la televisione, non è riduttivo".