Andrea Camilleri
La gita a Tindari


Lo fece Francesco Guccini negli anni '70 con quella sanguigna canzone dal titolo "L'avvelenata", lo fa oggi Andrea Camilleri con le parole lucide e battagliere di un commissario Salvo Montalbano mai così in forma. I sassolini dalle scarpe, di tanto in tanto vanno tolti, altrimenti si pregiudica la camminata spedita che ogni artista vorrebbe sempre avere. E così, incantato dalla descrizione di un antico e contorto ulivo, immagine che ci rimanda spediti al cervello umano che in quanto a contorsioni non ha nulla da invidiare ad alcunché, mi sono fatto pirsuaso (oramai parlo anch'io siciliano) che alla stessa stregua di alcuni personaggi dei suoi romanzi, Camilleri in questo ultimo lavoro ci dica delle cose per farcene intendere altre. Fin dalle prime pagine Camilleri, con la voce e la passione di un Montalbano più nirbuso e nivuro che mai, mostra la sua disistima per quegli ex sessantottini che "fatta eccezione per qualcuno che con straordinaria dignità sopportava da oltre un decennio processi e carcere per un delitto palesemente non commesso né ordinato, fatta eccezione per un altro oscuramente ammazzato, i rimanenti si erano tutti piazzati benissimo, saltabeccando da sinistra a destra, poi ancora a sinistra, poi ancora a destra, e c'era chi dirigeva un giornale, chi una televisione, chi era diventato un grosso manager di Stato, chi deputato o senatore." Non solo, dopo qualche pagina gli strali vengono lanciati conto uno Stato/non Stato che non riesce più ad essere un punto di riferimento per il cittadino. "...E gli tornava macari a mente una tragicomica scena vista in televisione: un tale della commissione antimafia che, arrivato a Fela dopo il decimo omicidio in una sola simanata, drammaticamente si stracciava le vesti spiando (chiedendo ndr) con voce strozzata: Dov'è lo Stato?". E Montalbano non risparmia stilettate neppure a personaggi e temi di strettissima attualità, tanto che parlando col legale di un noto mafioso preoccupato della sorte di un nipote in contumacia, il commissario, con la sua ironia al vetriolo chiede: "Quale nipote? L'esule?" "Esule?" ripeté l'avvocato sinceramente perplesso. "Non si formalizzi, avvocato. Oggi esule o latitante significa la stessa cosa. O almeno così vogliono farci credere." A proposito poi, della fuga di un gruppo di albanesi da un campo di accoglienza, questo viene definito dal commissario "campo di concentramento". Ma le frecciatine più pungenti (venate da una sorta di amarezza neppure tanto velata), Camilleri le riserva a quei critici che di volta in volta l'hanno bollato accusandolo di essere commerciale, nazionalpopolare e amenità varie. "I romanzi gialli, da una certa critica e da certi cattedratici, o aspiranti tali, sono considerati un genere minore, tant'è vero che nelle storie serie della letteratura manco compaiono." Ma, ovviamente, La gita a Tindari, è soprattutto un romanzo giallo bellissimo, dalla struttura solida e con personaggi (oltre a quello principale naturalmente) dai caratteri perfettamente delineati; basti pensare al vice commissario incallito sciupafemmine, al fido Fazio, precisino nel radiografare anagraficamente vittime o carnefici sui quali è chiamato a indagare, ma soprattutto il gigantesco Catarella (lui sì meritevole di un fan club), personaggio dotato di una sana quanto disarmante ignoranza che lo rende immediatamente simpatico, ma soprattutto calato nel suo ruolo con un impegno e una dedizione tale da fargli perdonare le scoppiettanti castronerie che frequentemente escono dalla sua bocca. Montalbano dunque, che già aveva gettato la maschera nel racconto Lo yak inserito nella raccolta Un mese con Montalbano ("Nel '68 il futuro commissario, che aveva diciotto anni, fece scrupolosamente tutto quello che c'era da fare per un picciotto della sua età: manifestò, occupò, proclamò, scopò, spinellò, s'azzuffò. Con la polizia, naturalmente."), in questo nuovo romanzo mostra più manifestamente il suo orientamento sociale e politico (non partitico) apparentemente senza grandi scollamenti tra il suo presente e il suo passato; forse la scelta di diventare poliziotto è stato il suo personale modo di "servire il popolo".

Giuseppe Ciarallo


La gita a Tindari
Pag. 291, Lire 15.000 - Edizioni Sellerio (La memoria)