Repubblica 20.06.2000 

Camilleri il gusto del surreale 
Marcello Sorgi scrive una biografia confidenziale dialogando con lo scrittore nel segno della "sicilitudine 

"Io sono uno scrittore italiano nato in Sicilia", dichiara Camilleri. Il che sembra inconfutabile. Ma qui l'autore del Birraio di Preston si ferma per un istante. E, a smentire che tutto sia così semplice, subito aggiunge: "Mi accorgo che un giro di parole più siciliano di questo è difficile trovarlo". Sto citando dal volume di Marcello Sorgi intitolato, con una suggestiva espressione siciliana, La testa ci fa dire. E' un dialogo con Andrea Camilleri appena edito da Sellerio (pagg. 130, lire 15.000). I dialoganti sono conterranei di diversa generazione. Palermitano e quarantacinquenne il direttore della Stampa. Nativo di Porto Empedocle, a un passo da Agrigento, il romanziere, che ha trent' anni di più. Ma il solco dell'età non basta a dividerli. Anzi. Come in una pièce del teatro classico, ciò che conta è l'unità di luogo. Che qui si afferma rigorosa. E che rimanda a una realtà proverbiale, ricca di aneddoti e colpi di teatro, generosa di ammiccamenti e controversie sottili come una lama: la "sicilitudine". Per i coautori del libro l'essere nati in quell'isola non è né "sostanza", né "accidente", come avrebbe detto un personaggio di Manzoni. Non è neppure un semplice antefatto. E' tutto insieme: complicità, orgoglio, curiosità reciproca, divertimento. Si sarà capito che la Sicilia - "la sua e la mia", precisa Sorgi ad abundantiam - funge da motore immobile per ogni pensiero che s'affacci nelle pagine. I due si approvano e rimbeccano, si aiutano o confutano con l'effetto di completare ciascuno i ricordi dell' altro. Sanno che la "sicilitudine" è un'essenza volatile, infida. E nel riaffermarlo ad ogni riga provano qualcosa che somiglia a un amaro diletto. "E' una cosa complicata", interviene a volte il giornalista interrompendo qualche confidenza dell'amico scrittore. "Appunto", riconosce Camilleri, con una punta d' impazienza (o di autoironia?). Quasi a dire: se non lo sai già da te, in partenza, che noialtri siamo fatti così, complicati fino al virtuosismo, che siciliano sei? O altrove è lo stesso romanziere che, raccontando una trovata sua o d'un amico di gioventù, prorompe estatico: "Neppure uno psicoanalista avrebbe potuto pensarla così fine". E' una sorta di scommessa che la "sicilitudine" impone ai nativi di laggiù: un gioco intellettuale, si direbbe, fondato sul fattore- sorpresa. Parlando dei documenti storici che lo appassionano, da cui spesso ha tratto spunti romanzeschi, Camilleri dichiara che la loro lettura gli fa crescere la sua "voglia di sgorbio". Sgorbio? Suppongo si tratti d'uno scatto improvviso della fantasia (o della visionarietà, per usare un termine caro agli autori) che viene a contrastare l'esercizio della logica isolana. La quale è nota, ecco il paradosso, per essere implacabile. Il libro che Camilleri ha composto insieme al conterraneo Sorgi - e, si può supporre, su sua felice istigazione - può essere definito la biografia confidenziale d'un autore italiano di best-seller, senza dubbio il più "gettonato" di questi nostri anni. Si va dagli inizi difficili come allievo dell'Accademia d' Arte drammatica al debutto come aiuto-regista in teatro e poi al cinema, dalle prime regìe teatrali in proprio al ritorno nell'Accademia in veste di docente, dalla lunga attività nel settore spettacolo della radio e della tv pubbliche ai tentativi poetici e romanzeschi, dalla mancata assunzione - per motivi bellici - alla Nazione di Firenze all'esordio come giornalista in Vie nuove sotto un direttore che si chiamava Luigi Longo (cui Camilleri attribuisce a sorpresa una battuta di spirito fulminante). Fino al definitivo trionfo in quella narrativa da "intrattenimento alto" che è così rara in Italia e che l'autore della Concessione del telefono ha imposto sul mercato, sfatando la convenzione secondo la quale uno scrittore capace di sorridere non sarebbe uno scrittore vero. I lettori apprenderanno che il personaggio di Montalbano, commissario di polizia nell'inesistente ma popolarissima città di Vigata, non è poi così simpatico al suo creatore, benché riproduca certi tratti di carattere dell'amatissimo Leonardo Sciascia: soprattutto il disagio nel parlare in pubblico. Scopriranno che la ragazza svedese del Cane di terracotta riproduce le fattezze di un lontano flirt scandinavo dell' autore. Verranno messi al corrente del fatto che lo stesso Sciascia - catalogato nel libro come "siciliano di mare aperto", cioè cosmopolita, in contrapposizione ai "siciliani di scoglio", ossia provinciali - disapprovava il vezzo di Camilleri di scrivere in quel personalissimo semidialetto: "Ci metti certe parole!", esclamava scandalizzato. Scopriranno che la madre del futuro romanziere gli rimproverava fin da piccolo l' inclinazione al turpiloquio. Vedranno squadernate alcune indiscrezioni di mestiere: che Camilleri, ad esempio, non riesce ad inventare un personaggio di sana pianta, ma fa leva spesso su una notizia di cronaca (questo già lo sospettavamo); o che ha dovuto riscrivere da capo cinquanta pagine della Voce del violino dopo averle sottoposte al capo della Scientifica di Bologna che le trovò inverosimili. Gli si rivelerà che lo scrittore siciliano sa poco di mafia. Che ancora meno capisce le donne. Che è tiepido sul tema dell'impegno sociale in arte, fino a respingere con rispettoso fastidio le rampogne che in materia gli rivolge Vincenzo Consolo. E che, per finire, è approdato a uno sconsolato scetticismo politico, dopo essere stato fascista da giovane e poi, dall'immediato dopoguerra, comunista. Ma sempre "sicilianamente". Sulla scorta di un Dna che postula una certa dose di generosità o di esagerazione. Il libro si legge con gusto, come un viaggio sentimentale a due. Benché meno colmo di ricordi dell'attempato partner, per ascendenze familiari Sorgi viene anch'egli da lontano: suo padre Nino, avvocato dalla viva passione civile, è stato per lunghi anni prodigo di consigli non soltanto professionali a chi lavorava all'Espresso. Quanto a Camilleri, dà l'impressione di sentirsi provocato nel modo giusto. Sul tessuto della sua memoria fanno spicco gli "sgorbi". E' quando, fra le acque già problematiche della "sicilitudine", irrompe il surreale. S'incontra per esempio un nonno dello scrittore che dispone, in casa, d'un monumentale water di marmo: un trono prestigioso ma gelido al punto che l'anziano gentiluomo suole "farlo riscaldare, con una seduta preventiva, senza diritto di uso, da una vecchia e fedele cameriera, la sua Ciccina". E' lo stesso nonno, cui la moglie - "donna favolosa, serena, distaccata" - contesta certi modi troppo cerimoniosi. Quando i due vecchi sono soli, in campagna, seduti nel salotto d'una casa deserta, lui le fa: "Dì che qualcuno mi porti un po' di vino". Che in quelle stanze non ci sia nessun altro è lampante: ma lui non se la sente di dare un ordine esplicito alla sua signora. La scenetta è degna d'un Brancati. Quando meno te lo aspetti, la follia isolana trabocca di dolcezza. 

di NELLO AJELLO