La Sicilia 07.09.2000

IL BARDO TRIONFA IN SICILIANO 
CATANIA - Come appariva ai forestieri la Sicilia nel Rinascimento? Certo con architetture solenni, ma con gli usi e i costumi fortemente mescidati di oriente. Gonne che si aprivano su pantaloni alla turchesca, piene di tappeti e cuscini come gli harem magrebini, nenie lente e profumo di narghilé restarono a lungo anche dopo la fine della dominazione araba. In questi ambienti Giuseppe Dipasquale ha collocato il suo "Troppu trafficu ppi nenti". A completare le scene basta un vasto arco, dai conci bicromatici come nel resto della barocca architettura della Piazza Duca di Genova. Aggirandosi tra le patrizie dimore, apparendo ai balconi, gli attori hanno ridato vita a una finzione teatrale che confina con la ricostruzione di un'epoca. Merito particolare di questa creazione, la lingua siciliana illustre ricostruita nelle sue scaturigini più nobili, con qualche spazio per la modernità del proverbiare e scelte fonetiche che appaiono insolite oggi, ma che dovevano essere consuete in corti dove il latino era la lingua diplomatica. Solennità di portamento e dizione rotonda per tutti tranne nei riquadri burleschi che il Bardo inframmetteva anche nelle più cupe storie per stemperarne l’amaro. Allora (nell'episodio della ronda notturna) si sprigiona l’umor faceto di tre guardie dai modi levantini, dal linguaggio misto di assonanze orientali e di comiche caricature espressive, per il resto è teatro di parola, in cui espressioni arcaiche danno lo spessore di una cultura antica di secoli ai più ignota, di avere esitato a montare la macchina degli inganni che poi non vengono neanche mostrati: non casualmente il regista ha proposto la scena del balcone che l'originale riserva a un veloce racconto pur essendo il perno di tutto, falciando invece tra i frondosi dialoghi che talora fanno sfuggire i caratteri. Così snellita l'azione e amalgamate le parti, la numerosa compagnia ha assolto con intelligente partecipazione il compito di intrecciare continuamente tragico e comico, solennità e brio di questa che è una commedia perché si conclude allegramente, ma che contiene momenti di alta commozione e punte di epico eroismo. Il dominio dei vari registri è stato il merito precipuo di Gian Paolo Poddighe, (Lionatu) che ha vissuto con intensità emotiva la gamma completa dei sentimenti patemi: dalla generosa ospitalità, alla disponibilità allo scherzo amoroso, alla furia per l'onore macchiato, alla rabbia ribelle, alla finale serenità. Una interpretazione sempre condotta con misura, senza eccedere rispetto alla compostezza prevista dall'autore. Bella la figura di don Petru d'Aragona tracciata da Pietro Montandon con spavalda sicurezza, ma anche con umana comprensione: da vero principe rinascimentale disposto all'inganno, ma con un forte senso dell'onore e della giustizia. Un tipo eroico che Shakespeare ha creato di suo (nella realtà storica era un personaggio assai mansueto e fiacco) e l'interprete ha reso vivo. Più difficile il ruolo di Angelo Tosto, nei panni di Binidittu: un po' smargiasso, un po' credulone, con momenti di sentimentale abbandono e rapidi viraggi verso l'opportunismo. Tra queste figure cangianti è lineare e per questo meno appariscente la figura dell'amoroso Claudiu (di cui Giovanni Carta ha sottolineato il lato romantico, seppur inframmezzando foschi propositi) e quella di don Giuvanni al quale Filippo Brazza ha conferito il ghigno del cattivo totale. Mimmo Mignemi ha animato con spirito la figura del Capoguardia. Sul versante femminile al quale Shakespeare riserva un’attenzione mista di sensualità e delicatezza, Alessandra Costanzo ha reso con brio prorompente il ruolo della bisbetica Biatrici, mentre Tiziana Lodato ha creato una figura di Eru dal sorriso scintillante e dai modi gentili senza essere leziosi, giungendo a punte patetiche sul finale quando sulla sua espressione fatta di pudore offeso e di interiore forza s'impernia lo scioglimento della tragedia in festa. E l'interprete ha saputo avvincere l'attenzione e la partecipe commozione con la misura del gesto. Spiritosa e umana Nina Micalizzi (nel ruolo di Orsola): parentesi di verità comune tra le fosche trame dei grandi. A completare il cast, con buone doti espressive Francesco Di Vincenzo (Burracciu), Emma Cardillo (Margherita), Sergio Seminara (il frate), Grazio Mannino (Antoniu), Tony Lo Presti, Aldo Toscano, Salvo Perdichizzi. Le musiche di Massimiliano Pace e i costumi di Elena Carveni, sono stati costruiti sul disegno di incontro etnico voluto dalla regia. Grandi applausi finali da parte del numeroso pubblico e numerosi consensi in corso d'azione per i momenti più sentimentali o più comici della vicenda. 

Sergio Sciacca