Giornale di Sicilia 07.09.2000

'Troppu trafficu...': ardito ibrido linguistico firmato da Camilleri
 
 

Replica fino a sabato in piazza Duca di Genova la rilettura in dialetto siciliano dell'opera shakespeariana. Diretta da Giuseppe Dipasquale, in scena Tiziana Lodato, la commedia chiude le manifestazioni dell'Estate catanese
 

CATANIA. (np) Molti rumori per nulla. Dove, per rumori si intendano quelli, naturali, d'una piazza trasformata una tantum in spazio teatrale -nel caso specifico, la settecentesca, magnifica, piazza Duca di Genova-, quelli provocati dai radiomicrofoni, ormai entrati a far parte del corredo teatrale, che raccolgono e rimbalzano stropiccìi, calpestii, gracidìi ed effetti vari più della stessa voce umana per cui sono attivati. Mentre per nulla deve intendersi il risultato cui lo scrittore Andrea Camilleri e il regista Giuseppe Dipasquale sono arrivati con questa macchina teatrale, dotata della singolare invenzione della figura di messer Michele Agnolo Florio Crollalanza, per avvalorare, nel segno dell'ironia, la tesi che vorrebbe dare al Bardo origini siciliane.

All'improbabile autore Camilleri e Dipasquale attribuiscono la loro traduzione in dialetto siciliano della commedia shakespeariana 'Molto rumore per nulla', divenuta 'Troppu trafficu ppi nenti' è andata in scena a conclusione di un'Estate catanese avara di avvenimenti stimolanti. Tutta la parte iniziale scorre in maniera piuttosto anodina, un po' confusa e poco comprensibile, in una ricerca lessicale che si riduce all'inserimento di frammenti del vocabolario camilleriano in un contesto di gergalità para-martogliana -un buon numero di 'cabasìsi', quattro o cinque 'garrusiate', 'na stampa e 'na figura' e via discorrendo-  con motti e proverbi affioranti qui e là. Continue strizzatine d'occhio al Medio Oriente -grida di donne, musiche, un sirtaki danzato durante una festa in maschera che pare mutuato dal kubrichiano 'Eyes wide shut'. Poi, quando la vicenda s'incentra sulla calunnia che il fratello bastardo del principe fa cadere sulla tenera Ero, spingendo il nobile Claudio a rifiutarla proprio nel momento dello sposalizio, lo spettacolo si colloca saldamente sui binari della commedia in vernacolo, con i suoi meccanismi, tradizionali, con i suoi artifici, a tratti anche con le sue guittate ('... fattoria ia ia o'), assume una maggiore coesione.

Pur essendo dotata di una regia, quello dello stesso Dipasquale, attenta e rigorosa, oltre che dell'apporto recitativo di un cast per la gran parte di buona qualità, la pièce si rivela sfilacciata, incoerente. L'ibrido linguistico del testo non rende sempre agile il compito: riescono meglio quelli che hanno una maggiore frequentazione con il teatro dialettale, come Alessandra Costanzo che, oltre al generoso davanzale, mette colore e simpatia al servizio della sua Beatrice o come Nina Micalizzi che tratta la sua nutrice secondo tradizione. Angelo Tosto vede dall'esterno il suo Binidittu e si diverte, Pietro Montandon ha aplomb e phisique du rol, Mimmo Mignemi carica di umori, rifacendosi al Catarella che collabora in questura col commissario Montalbano, il suo comandante delle guardie, trascinandosi dietro lo spilungone Aldo Toscano e l'anonimo nanetto in un gustoso terzetto comico.

Tiziana Lodato, per la propria parte, si prende troppo sul serio nello sbozzare la leziosa Ero, il pur bravo Gian Paolo Poddighe si fa invischiare da un dialetto che non gli appartiene. Di pregevole fattura i costumi di Elena Carveni, Massimiliano Pace commenta con musiche di sapore mediorientale. Repliche fino a dopodomani.
 

Nello Pappalardo - Giornale di Sicilia 07/09/00