CAMILLERI: ECCO IL MIO PIRANDELLO

Quando il drammaturgo onorò suo padre. Che non fu più don Stefano.
Nella "Biografia del figlio cambiato" Camilleri svela il nucleo segreto di certe pagine pirandelliane. Tuttavia eccede nel dialettismo.
Andrea Camilleri, un testo tra biografia e romanzo

Romanziere di successo, principe nostrano dei best-sellers, Andrea Camilleri ha puntato su un arduo obiettivo, la biografia del suo conterraneo Luigi Pirandello. Perché se è vero che ogni uomo, nella sua interiorità, possiede un margine invalicabile di mistero, ciò a maggior ragione vale per il grande commediografo, dalla personalità complessa e multiforme e segreta.
Camilleri però parte con il piede giusto e in epigrafe pone - nella sua Biografia del figlio cambiato, Mondadori, novembre 2000, pagine 274 - un passo della lettera che la madre di Pirandello indirizzò alla figlia Lina il 21 gennaio 1889: "Luigi ci scrive assai di rado ed io non trovo pace perché so che la sua vita è seminata di spine, ma vedo che non vi è rimedio, essendo così formata la sua natura. Quanto sarei stata più contenta se fosse stato meno intelligente e avesse potuto vivere la vita dei viventi!"
La madre aveva visto giusto, con l’intelligenza che nasce dall’amore: a Pirandello era destinata una vita folta di amarezze, le quali avrebbero avuto la loro scaturigine dalla sua straripante e mai sazia attività intellettuale e altresì - aggiungiamo noi - dalla forte passionalità del suo sentire.
L’incipit del libro, poi, ci dà la conferma che Camilleri si mantiene fedele al suo linguaggio, mescidando lingua e dialetto, insaporando la prima coi suoi "arrisbigliati", "terribilio", "rumorate". Ed il lettore, rassicurato e confortato, si affida tutto al piacere della lettura. Anche se poi non gli sfuggirà che lo scrittore, questa volta, nella sua mescidazione, ha un pochino ("tanticchia") ecceduto con gli inserti della componente dialettale.
Saltiamo i preliminari ed entriamo nel vivo dell’idea che presiede al progetto biografico di Camilleri, idea che già è presente nel titolo del libro: il figlio cambiato. Ma che è cambiato? E perché? E in quale senso? Camilleri si riporta ad una novella di Pirandello che si intitola appunto così, la quale sviluppa, e trasforma in opera letteraria, un racconto che Pirandello aveva ascoltato dalle labbra di Maria Stella, la serva che amorosamente aveva vegliato sulla sua infanzia. Il suo nocciolo sta nell’illusione della madre di un figlio malforme che sogna che il suo vero figlio sia un altro, bello e biondo, che le streghe le hanno sottratto, sostituendolo.
Camilleri rovescia il punto di vista, non è della madre che si occupa, ma del figlio. È lui, Pirandello, che si sente il figlio cambiato. E a tutto ciò è sotteso il trauma del conflitto col padre, don Stefano, rispetto al quale il figlio sente di non avere nulla, ma proprio nulla, in comune.
Avverte, lo scrittore, in una Nota, che il suo libro non è destinato agli addetti ai lavori, ma al lettore comune. E qui c’è un eccesso di modestia, perché in realtà l’opera, nel suo fitto confrontare vita e opera, riesce a dire qualcosa di nuovo e di convincente, anche al fine di cogliere il nucleo segreto di certe pagine pirandelliane. Come ad esempio, a proposito di un capolavoro come Sei personaggi in cerca d’autore, la commedia che ha aperto nuove prospettive al teatro, non solo in Italia. E opportunamente Camilleri cita la testimonianza di Fratelli che ebbe ad ascoltare, con Silvio D’Amico e pochi altri amici, la lettura che Pirandello fece loro della commedia: "…fummo presi e sconvolti non solo dalla commedia, ma anche dalla passione che Pirandello metteva nel recitarla". Quella passione era la spia della fonte autobiografica del testo.
Il conflitto col padre, nel volgere degli anni, si acuisce ma finalmente, nel mentre la vita sottopone Pirandello a durissime prove, arriva a comporsi, a risolversi. Subentra, con la comprensione, la pacificazione, e Camilleri puntualmente segue le tappe di questo processo catartico.
Per la prima volta, in una lettera del 19 gennaio 1923, Pirandello chiama "padre", e non più don Stefano, il genitore. E quando don Stefano muore, qualcosa di manifesto si produce nell’animo di Luigi, che sovente passa la notte inquieto, passeggiando nervosamente per la casa. "Parla col padre? Gli spiega come e perché abbia creduto a lungo d’esser stato figlio cambiato?" E noi non possiamo non ammirare l’acume psicologico e la pietas di Camilleri, che qui si è fatto romanziere e saggista.

Vico Faggi

Il Secolo XIX, 10 dicembre 2000