La Republica 07.08.2001
"Volevo i soldi, ha reagito ora merito solo l'ergastolo"

PIACENZA - «Vossia mi deve credere, non ci volevo sparare a quel ragazzo. E non ci avrei sparato, ce lo giuro, se mi avesse dato subito i soldi. Da quando sono uscito dal carcere non ho una lira, non ho un letto, un amico, un posto dove andare. Se non avesse reagito, se non avesse fatto quel gesto col braccio, un movimento brusco, come per togliermi la pistola, non avrei premuto quel grilletto. Ce lo avevo detto a quel ragazzo quando sono salito sul taxi e gli ho puntato l'arma: dammi i soldi, su, e non fare lo stupido. Lui non voleva. Allora gli ho parlato anche in italiano, perché capisse bene. Sei sposato? Gli ho chiesto. Mi ha detto di sì, allora gli ho detto: pensa a tua moglie. Lui invece ha tentato di disarmarmi. No, non cerco scuse, non avevo il diritto di togliere la vita a nessuno. Mi merito l'ergastolo e non devo avere alcuno sconto di pena. Adesso sono pronto, se vossia vuole, mi può mettere le manette. Non farò resistenza, come non ne ho fatta quando mi avete fermato. Non è nel mio stile». Come in un romanzo di Camilleri, Giambattista Grancagnolo, il pregiudicato che ha ucciso il tassista Davide Tagliaferri, si confessa in siciliano solo davanti a due poliziotti siciliani come lui, l'esperto Totò, il Serpico delle discoteche che l'aveva notato al «Quincy» dopo il delitto, e il giovane dirigente della squadra mobile Girolamo Lacquaniti, al quale si rivolge, cerimonioso, dandogli del «vossia». E' una schermaglia fitta, intrigante, giocata in punta di fioretto, che dura quattro ore prima di arrivare alla confessione piena, ma serena, tranquilla, senza crolli di nervi, e a condurre gli inquirenti nei luoghi dove aveva lasciato la pistola, la camicia e il cellulare della vittima. Prima di arrivare addirittura a congratularsi con la polizia per averlo arrestato («Vossia ha fatto un bel lavoro, proprio pressante»), e per averlo fatto in così breve tempo: «Quando ho visto che mi venivate incontro alla stazione, ed erano passate poco più di un paio d'ore dal delitto, ho pensato: minchia, ma com'è possibile che mi abbiano già individuato?». Prima, Grancagnolo, attentissimo a pesare le parole, e molto sensibile all'antico rispetto dei ruoli fra poliziotti e bandito, aveva cercato, in realtà, vantando anche i suoi studi di psicologia e criminologia, di svicolare. Di darsi un alibi («ero in discoteca»), di cercar scappatoie («il taxi potrei solo averlo rubato»). Poi, vistosi alle strette, gradualmente, ha confessato, alla fine di un colloquio «che ha seguito certi vecchi codici, proprio come nei romanzi di Camilleri», dice il capo della mobile. Un tipo strano, questo pluripregiudicato. Uno che, secondo il poliziotto della discoteca, «appartiene a un'altra categoria». Uno «molto particolare» secondo il suo legale, con manie di persecuzione. Uno della vecchia mala. Ma che fino a ieri non aveva mai ucciso.
(r.b.)