Nel gran dibattito sulla Sicilia, c'è anche chi, come lo scrittore
Andrea Camilleri, vorrebbe spingere i siciliani all'abiura del loro abusivismo:
edilizio, politico, e forse pure umano. Spiega infatti Camilleri a Salvo
Fallica dell'Unità: «Pensi, in provincia di Agrigento
vi è un intero paese abusivo». Ma non aggiunge che un paese
interamente abusivo non è più un paese abusivo, come aveva
capito il compagno Aiello, che fu sindaco comunista di Vittoria, e primo
capopopolo degli abusivi. Sicuramente è giusto - e siamo stati i
primi a sostenerlo - mandare le ruspe, abbattere un edificio, una
Punta Perotti, un villaggio di "seconde" case. Ma si può abbattere
un intero paese?
Per costringere la gente dentro una norma, bisogna abolire la gente
o adattare la norma? Dice Camilleri: «E' evidente che (in quel paese
interamente abusivo) vince il sindaco che promette di non toccare le case
abusive». Ma cosa dovrebbe proporre quel sindaco ai suoi concittadini?
«Votatemi, e vi distruggerò le case»?
Camilleri spieghi ora, con uno dei suoi romanzi, o in un’altra intervista
a Salvo Fallica, o dove vuole, cosa proporrebbe lui, Camilleri, se fosse
il sindaco di un paese abusivo.
Ci sono nel mondo posti marginali, lontani fisicamente e psicologicamente,
dove si sperimentano bombe atomiche e armi chimiche, come l’atollo di Mururoa
o il deserto del Nevada. Nell’isola di Sealand, un’ex piattaforma militare,
al largo delle coste inglesi, si collaudano le più strampalate ingegnerie
socio-istituzionali, come, per esempio, l’anarchia monarchica. E, come
si sa, su alcuni corpi di marginali, topi o accattoni, si provano nuovi
farmaci. Ebbene, la Sicilia è il luogo della politica italiana che
consente ogni audacia e ogni azzardo. Qui la marginalità limita
il danno radioattivo, la distanza permette una maggiore brutalità,
anche nei ragionamenti. La Sicilia è l’alcova segreta dove si azzardano
posizioni proibite con la propria moglie, un porto franco dove non si paga
il dazio della pesantezza delle dichiarazioni. E’ ormai il luogo di decenza
della politica italiana.
D’altra parte, forse solo nel Tora Bora di Bin Laden, tra sporcizie
organiche e purissimi cuori coranici, la ricchezza è quel prodotto
diabolico che spaventa Bertinotti e lo spinge a denunziare, nella terza
consecutiva vittoria del centrodestra in Sicilia, non la preoccupante disfatta
della sinistra, ma «la vittoria del partito dei ricchi». Per
la verità, nella Regione più povera d’Italia, la dizione
«partito dei ricchi» rimanda al partito dei kulaki e non a
quello dei capitalisti americani.
Ricordate? Il partito dei kulaki non era «il partito dei ricchi»,
ma il partito degli aspiranti ricchi, il partito dei contadini che Bukarin
spingeva ad arricchirsi e che Stalin invece sterminò. Ci fosse davvero
in Sicilia «il partito di quelli che vogliono arricchirsi»,
il partito di Adam Smith! Ebbene, i primi ad appoggiarlo dovrebbero essere
proprio i riformisti, le forze della sinistra, i progressisti.
Nel carnevale delle dichiarazioni, c’è poi chi vorrebbe stanare
i siciliani, quasi fossero talebani nascosti nelle caverne, e costringerli
a confessare che, come sostiene Pietro Folena, «i vecchi codici mafiosi
sono tornati ad affermarsi sotto nuove vesti» perché «un
personale politico largamente impresentabile è stato tuttavia ritenuto
votabile da tanta gente onesta». E tutti concordano, citando il politologo
Ilvo Diamanti, sulla trasformazione di Forza Italia in «partito pigliatutto»,
«non più partito mediatico, leggero e di plastica, ma partito
pesante», perché, come ha tagliato corto ancora ieri lo stesso
Camilleri «non ha vinto solo Berlusconi, ha vinto la Dc», «il
mammuth si è risvegliato a Jurassik Park», dove Jurassik Park
è appunto la Sicilia di Camilleri, ovviamente mafiosa e peronista
quando vince il centrodestra.
Per la verità pezzi di Dc sono sopravvissuti e altri sono rinati
anche nella politica nazionale, e il presidente della Camera è un
democristiano di nuova generazione: non c’è nulla di inquietante
o di regressivo. Totò Cuffaro e Pietro Castiglione, rispettivamente
presidente e vicepresidente della Regione, gli uomini più votati
dell’isola, erano, poco più di un anno fa, i lodatissimi assessori,
all’Agricoltura e all’Industria, del governo regionale di centrosinistra,
presieduto dal diessino Capodicasa. Sono diventati solo ora «mammuth»
«impresentabili»? E Folena spieghi se sono impresentabili anche
i democristiani che stanno ancora nel centrosinistra, e sono anch’essi
votatissimi a titolo personale, come, per esempio, il catanese Giovanni
Barbagallo, capogruppo della Margherita alla Regione.
Già due volte la Sicilia aveva votato in misura eccessiva e
inquietante per il Polo. Sia il cappotto (61 seggi a 0) delle politiche,
sia la vittoria schiacciante alle regionali, e sia quest’ultima disfatta
della sinistra sono la reazione dei siciliani allo stereotipo infernale
al quale li avevano condannati una parte della sinistra, una certa pubblicistica
e una certa letteratura che ancora dipingono l’isola come il regno di tutti
i mali. Quel continuo bagno di etica, quel khomeinismo laico che pure era
stato necessario per combattere la mafia degli anni bui era diventato alla
fine una condanna antropologica, un estremismo giudiziario, un freno all’economia
e allo sviluppo, un cappio al collo dei siciliani per bene che, affamati
di normalità, non vogliono più scegliere ogni giorno tra
una vita da eroi o una vita da delinquenti.
E’ difficile dire cosa diventerà la sinistra siciliana, oggi
malinconicamente ridotta a nulla. Chi è cresciuto in Sicilia conosce
bene il ruolo straordinario di modernità che ebbe quella sinistra,
basti pensare al suo giornale "L’ora" , alle sue provocazioni, ai suoi
titoli («Nessuno bacerà più la mano a lord Bridport»,
«Mai una Madonna che rida!», «Non può esserci
onore nel delitto»), giustamente celebrato in un nostalgico e tuttavia
lucido libro del suo grande direttore Vittorio Nisticò ("Accadeva
in Sicilia", Sellerio): un giornale, va ricordato, che fu, a suo modo,
anch’esso abusivo, pirata e fuor di luogo, finito sotto le ruspe dell’informazione
normale, istituzionale, corretta. Rimane vero che la politica siciliana
è oggi un magma preoccupante, dove i vincitori fanno paura, ma non
perché il voto che li ha premiati è inquinato (altra favola
che, per delegittimare l’avversario, delegittima la democrazia), ma perché
l’eccesso di consenso rende grassi e ottunde i sensi. Hanno stravinto elettoralmente
ma senza accumulare capitale politico. E’ una forza che li fa deboli. Sono
protagonisti senza antagonisti. E’ una malattia che deve preoccupare chiunque
creda nella politica, vincitori e vinti. Chi vince per mancanza d’avversario
non ha dato prova di saper giocare, non è un campione, si candida
a partite truccate, e si apparenta a Maramaldo, che uccise un uomo morto.
Francesco Merlo