Ecco la preistoria di Camilleri non ancora «best seller»
letterario, ma uomo di spettacolo. Questo suo breve «viaggio teatrale»
parte infatti da una lunga carriera: allievo dell'Accademia d'arte drammatica,
poi aiuto regista del suo maestro Orazio Costa, l'autore fu infine regista
in proprio, oltre che per trent'anni funzionario Rai addetto alla prosa
radiofonica. Il tutto con passione che qui straripa, dalla A di «Arlecchino»
e alla T di «testo».
Nell'itinerario alfabetico, le fermate sono di varia lunghezza: salgono
sul convoglio di Camilleri sarte e datori di luci («light designers»,
si chiameranno poi a suo dispetto), suggeritori e filodrammatici, scenografi
e ballerine, grandi attori come Ruggeri e Tofano, Musco ed Eduardo, naturalmente
registi, dallo stesso Costa a Strehler, critici insigni: Silvio D'Amico
o Nicola Chiaromonte. L'autore ispeziona la «cavità teatrale»
(così definisce quell'ambiente) in ogni suo anfratto, dalla papera
— e ne riferisce di comicissime — alle superstizioni: in base a una delle
più singolari, vanno bene solo gli spettacoli dei quali sia stata
disastrosa la prova generale. C'è infine il pubblico, detto «l'orbetto»,
perché non s'accorge dei disguidi e dei litigi che animano, sotto
i suoi occhi, il palcoscenico.
Di pubblici, l'autore ne ha conosciuti due: il primo, composto da chi
affolla il botteghino, il secondo da chi va in libreria. Per obbligo di
nostalgia, qui Camilleri sembra preferire il primo.