La Stampa 12.05.2001
IL NONNO IL BAMBINO E L’AQUILONE
GIANNI Riotta m’ha telefonato qualche ora fa per comunicarmi
che Turi Ferro era morto e per domandarmi un ricordo per questo giornale.
Il primo impulso è stato quello di rifiutare, scrivere di un fatto
che ti sconvolge tanto profondamente, tanto personalmente, necessita di
una certa distanza, occorre che l’emozione si plachi, che i ricordi si
dispongano gerarchicamente. Se lo faccio è solo per dire che Turi
è salito per l’ultima volta su un palcoscenico per recitare la mia
riduzione (da lui voluta) della novella «La cattura» di Luigi
Pirandello. Mi telefonò dicendomi che assai gli sarebbe piaciuto
se io fossi riuscito a metaforizzare in qualche modo la sua cattura, quella
cioè operata dal teatro nella sua persona. Credo, sotto questo punto
di vista, di averlo alquanto deluso: ma mi risultò impossibile chiudere
in una metafora la sua immensa grandezza d’attore, la sua illimitata capacità
di «comunicare» al pubblico tutta l’intensità che sapeva
estrarre da ogni personaggio del quale vestiva, prima che i panni , l’anima.
Come regista, ho lavorato tante volte con lui su testi di Euripide, di
Pirandello, di Morselli, di Berto: eppure, quando si andava in scena, trovava
modo di meravigliarmi ancora, ancora riusciva a mettere in luce un lato
nuovo e inatteso del personaggio. Mi fece sapere, attraverso Di Pasquale,
il regista della «Cattura», che gli andava bene morire in scena,
come previsto dal copione, ma che preferiva morire giocando con un personaggio
bambino al quale, nel corso della commedia, si affezionava. A llora presi
alcune pagine da un mio libro ancora inedito e le inserii, modificate,
nella riduzione teatrale. Il finale era questo: Turi e il bambino facevano
un aquilone, poi il bambino usciva di scena con l’aquilone ormai alto nel
cielo e domandava a Turi, che intanto s’accasciava stroncato: «Nonno,
tu sei capace di andare più in alto?». Con un ultimo sforzo,
senza più fiato, Turi accennava con la testa di sì.
Andrea Camilleri