L'Unione Sarda 12.05.2001

Ecco l’autentica Sicilia dell’anti-Camilleri
 

Domenico Cacopardo ha 65 anni, è siciliano di Letojanni. Magistrato del Consiglio di Stato, ha occupato posizioni chiave nei governi Amato e D’Alema. D’improvviso, qualche anno fa, si è scoperto giallista, ha pubblicato per l’editore Marsilio due bei libri che hanno avuto un grande successo di pubblico e di critica. In particolare quest’ultimo, L’endiadi del dottor Agrò (pagg.180, £ 25.000), che in marzo un’indagine della Demoskopea segnalava tra i 10 libri più venduti, assieme ai titoli di Eco, della Tamaro e di Camilleri. Ma, dal collega Camilleri, Cacopardo è lontanissimo (non a caso uno fra i maggiori critici italiani l’ha definito l’anticamilleri); i suoi libri raccontano la vera mafia, i veri intrecci con la politica, mettono in luce i veri meccanismi psicologici e pratici della piovra. Lo hanno segnalato anche Massimo D’Alema e Lucia Annunziata durante la presentazione alla stampa. In più, sono gialli letterari. Nulla in dialetto - o quasi nulla - ma molto sulla Sicilia doc.
La Sicilia di Cacopardo, a differenza della Sicilia di Camilleri, è un’isola colta e tradizionale, golosa dei suoi frutti canditi e orgogliosa dei propri palazzi malandati. È una Sicilia in cui tutti si chiamano per nome e per cognome e che, in base al mestiere che svolgono (o per i loro difetti fisici), hanno anche, e sempre, un soprannome. Sotto al velo di muffa della nostalgia si respira un certo classismo afoso, dai ritmi lenti, bisbigliato in case perennemente domenicali, profumate dall’essenza di liquori colorati e zuccherosi, arredate con poltrone in pelle scura, graffiate dai gatti e malamente riparate. Si sentono le risate sagge dei vecchi, e quelle maliziose delle donne, talvolta straniere. Perchè la Sicilia di Cacopardo è anche una Sicilia internazionale, una Sicilia dalla quale i giovani fuggono per recarsi in Lussemburgo. I luoghi, le piazze, le persone, sono sempre nominati in dettaglio, come per una regola anagrafica. E così i rituali della compagnia, durante la pausa del caffè al lavoro, o magari per le cene del’Immacolata Concezione, festa delle cui tradizioni Cacopardo è espertissimo.
Fin dal titolo, questo ultimo suo libro ostenta una certa letterarietà. È un libro insolito, positivamente anomalo: per questo conviene chiamarlo romanzo e non “giallo”. Lo sfondo principale della vicenda sono i corridoi deserti di un ministero, la mafia dell’acqua. I segreti.
Il protagonista del libro, Vincenzo Rovini, consigliere di Stato in pensione, conosce molti di questi segreti, e li trasferisce - ormai anziano - in un romanzo di prossima pubblicazione. Ma la Mafia non vuole che i suoi segreti vengano pubblicati. Rovini, per questo, viene ucciso: il suo romanzo distrutto. Da qui muove una vicenda complessa, un doppio caso, un’endiadi. Uscieri di Palazzo con casa signorile a Monteverde, domestiche-amanti. Piccoli e grandi politici, ristoratori, costruttori, vecchi, donne e animali, prostitute, un’ombra di omosessualità: c’è tutto questo.
Lo abbiamo incontrato, Domenico Cacopardo, a Palazzo Chigi. «Starò qui ancora per poco. Il mio mandato si conclude in questi giorni», dice ai lettori dell’Unione Sarda. E racconta la sua storia, la sua avversione per Camilleri da lui definito «un letterato siciliota, un accorto mistificatore dell’etos dell’isola e dei suoi abitanti resi in macchietta senz’anima né valori».
«È vero», ammette: «Il birraio di Preston era un bel libro ed era bello anche Il ladro di merendine. Ma poi basta. Finito». E, in effetti , molti altri libri di Camilleri hanno iniziato a deludere. A cominciare da La voce del violino: troppi libri scritti troppo in fretta, forse. O, forse, troppo uguali a se stessi. Di maniera. Cacopardo, invece, scrive con moderazione e con puntiglio. È molto innamorato della sua Sicilia: «Mi documento su ogni cosa, ogni piccola abitudine alimentare, le feste di paese: è una mia passione».
Come quando scrive che «il giornalista Ferraresi si ritirò al Jolly Hotel e si fece portare una bottiglia di acqua Ciappazzi, la più gassata in assoluto». O, ancor più ironicamente, come quando riferisce che «la casa dell’usciere era arredata bene. Gusto zero (...) con le bambole sulla trapunta». O magari del parroco che durante la processione, riferendosi alle ragazze del paese, aveva solennemente proclamato «Avanti le vergini!» senza, pero, avere nessun riscontro e dovendo pertanto ripiegare su un più generico e imbarazzato «Venite avanti lo stesso: come siete siete».
Dunque Cacopardo è anche ironico con la Sicilia. Ma la sua è un’ironia dotta. Nessuno appare una macchietta, nemmeno la serva che, urlando di paura, racconta che «i ladri in casa entrarono e il comuner (il computer) rubarono».
Domandiamo a Cacopardo quali siano i suoi progetti per il futuro. E scopriamo che alla fine dell’anno ci sarà un nuovo libro. Questa volta ambientato tra l’Italia e l’Ungheria. «Un libro per il quale ho dovuto portare avanti un immane lavoro di ricerca, che mal si combinava con i miei impegni di lavoro». Ma la passione di Cacopardo per la scrittura è autentica, tanto che alla fine confessa: «Comunque bisogna che me ne vada in pensione: questo è il mio sogno. Di stare in campagna, tutta la giornata: e scrivere».
Nicola Lecca