Avvenire 11.05.2001
Zingaretti cioé Montalbano
L'attore e l'autore. Luca Zingaretti, ormai Commissario Montalbano
per sempre, e Andrea Camilleri, autore apprezzato dal pubblico che ne ha
decretato il successo. E, per la terza volta, ecco riapparire sul piccolo
schermo - Raidue, mercoledì sera, e ci sarà un'altra storia
la prossima settimana - una Sicilia che non si limita al fatto di mafia,
inevitabile quando si tratti di un poliziesco lì ambientato, ma
che diventa protagonista quanto i personaggi, e anche più.
Successo garantito: l'audience ha infatti registrato 7.357.000 telespettatori,
pari al 29,65% di share. E anche successo motivato, ormai, perché
il Montalbano di Zingaretti ha già raggiunto i suoi predecessori,
quelle figure a tutto tondo che diventano autonome rispetto alla storia
e all'interprete, e vivono di vita propria. Con il rischio, è evidente,
di schematizzarsi in figure stereotipate: e qui solo la bravura dell'attore
e la mano ferma del regista possono intervenire per frenare il processo
di cristallizzazione, che appanna la vitalità del personaggio. Non
è ancora accaduto, ma per qualche segno, sta per succedere. La prevedibilità
dei toni, la ripetitività di certi agganci («Montabbano ssono!»)
possono creare la macchietta: e Zingaretti, abilmente, ha circoscritto
il pericolo abbassando i toni, attenuando le sue furie sgarbate, lasciando
trapelare l'ironia nei suoi rapporti con gli altri, o addolcendosi in inopinate
perplessità che non gli erano proprie. La poliedricità dell'interpretazione,
insomma, salva il suo Commissario dalla staticità: e collaborano
con lui attori ben guidati e assai espressivi, scelti con attenzione per
creare il clima da commedia sullo sfondo di cupe tragedie e assassini.
Un piccolo mondo analizzato con feroce tenerezza diventa un microcosmo
sul quale la satira passa come un soffio vitale: e qui i coprotagonisti
finiscono con l'assumere, per le loro facce caratterizzate, la loro recitazione
espressiva, un ruolo determinante nel definire un'atmosfera. Con lo spessore
del teatro e il piglio dell'analisi sociale, il film assume una sua autonomia
che si impone: e se nella seconda parte la tensione si attenua, fin quasi
a rasentare la prevedibilità, il racconto fila scorrevole e accattivante.
Peccato per alcune stonature: il rilievo dato ai film pornografici, uno
dei fili della matassa da sbrogliare, e soprattutto per una breve e crudele
apparizione di prete mafioso, in cui Camilleri ha insinuato un acre veleno.
Per il resto, tutto scorre: in una Sicilia solare e splendida - le
rapide scene in esterni sono uno dei pregi del film, e non il meno importante
- e in una Vigata che si avvia ad esser luogo fittizio e canonico di storie
di varia umanità tutte isolane. E se c'è una lieve, appena
accennata patina di déjà vu, questo è lo scotto da
pagare per personaggi e situazioni codificati: nei quali tuttavia lo spettatore
ama riconoscersi e soprattutto riconoscere un mondo in cui il male vuol
dominare, ma ci sono coloro che lo combattono.
Mirella Poggialini