Il Venerdì di Repubblica (rubrica Scalfari risponde )13.07.2001
I lettori di gialli pensano che la vita è tutto un quiz

Caro Scalfari, ho letto la tua rubrica sull’Espresso della scorsa settimana ("Il vetro soffiato") dedicata al romanzo giallo e ti devo dire che la condivido pienamente, ma avrei voglia di aggiungere alcune considerazioni. E’ vero che il romanzo giallo si è preso uno spazio che un tempo era appannaggio dei cosiddetto romanzo di genere. Come è vero che questo spazio nuovo ha fatto entrare nel recinto della letteratura e della lettura buona parte di quei non lettori di cui lamentavamo l'ignavia e l'indifferenza verso la pagina scritta. Guarda che cosa è accaduto con Andrea Camilleri e come la sua fortuna sia esplosa proprio negli ultimi due anni; penso che quella sorta di mania che si è determinata da parte dei lettori verso il commissario Montalbano sia comunque un fatto positivo: oggi è Montalbano, domani è Simenon e nel futuro, chissà, forse anche Proust. Però c'è un dubbio su cui rifletto da tempo. Il giallo non è solo un genere. Il giallo è una Weltanschauung. Il giallo è - paradossalmente - l'oppostodell'ambiguità della quale tu hai parlato molto negli anni passati (ricordo anche una tua intervista proprio all'Espresso, dove affrontavi il tema dell'ambiguità e che a mio avviso era preludio al tuo lavoro di narratore oggi). Il giallo è l'idea di un mondo che ha comunque una soluzione, che va decriptato, che vanta una compiutezza più o meno assoluta. Mi si potrà obiettare che la storia della letteratura -minore e maggiore- è piena di gialli che non hanno soluzione, che lasciano i casi aperti e in questo riflettono, come un gioco di specchi, l'imprecisione delle nostre esistenze. Perfino Il nome della rosa che tu citi nella tua rubrica appartiene a questo genere di romanzi. Ma credo sia così soltanto in parte. Che il giallo non abbia una soluzione chiara poco importa, importa che sia impostato come se dovesse averla. Allora forse mi spiego perché molti non lettori si avvicinano a questo tipo di romanzi. Perché riflettono una visione del mondo semplice, lineare, dove alla fine tutto si tiene assieme. Perché un giallo non è quasi mai l'affresco di un'epoca o la rappresentazione di una società, ma è un gioco enigmistico, un quiz in forma di testo; importa risolverlo piuttosto che capire il perché di una soluzione. E non lascia inquietudini vere: semmai inquietudini di facciata (chi sarà stato l'assassino se l'autore non ce lo dice?). Ma lo non credo più a questo, anche se a vent'anni ci credevo. Oggi mi piacciono sempre più i romanzi sfuggenti, i caleidoscopi, i cambi di prospettiva, i salti di tonalità musicale, i nodi messi a punto per non essere sciolti. Sarà che mi avvicino all'età della ragione?
ROBERTO COTRONEO