Il Centro
A lezione di thriller dallo scrittore-cult Lucarelli
L'autore di «Almost blue» ieri a Teramo
«L'omicidio
Alinovi? Troppi lati oscuri»
«L'horror piace perché esorcizza e allontana la paura vera»
di Paolo Di Vincenzo
Il caso
Alinovi-Ciancabilla, l'ultimo, recentissimo, della contessa Vacca-Agusta,
e poi la scrittura, ovviamente. Carlo Lucarelli, autore di gialli-cult, molti dei quali
già trasferiti al cinema, ha risposto alle domande del Centro prima di arrivare a Teramo, dove ieri ha tenuto una lezione sul thriller all'università. L'occasione l'ha fornita un
incontro organizzato dal Laboratorio di scrittura del corso di laurea in Scienze della comunicazione (tenuto ieri dalle 15,30 nell'aula 10 della sede di Coste Sant'Agostino).
Perché l'horror ha così
successo in questo periodo?
Il pubblico ha un ulteriore
bisogno di paura? Non ce n'è
già tanta, vera, in giro nelle
città?
«Sì, credo proprio che sia
per questo motivo. Nel senso
che non è il pubblico ad aver bisogno di altra paura, ma proprio perché ce n'è tanta il bisogno di raccontarla è una sorta
di esorcismo. E' un modo per
allontanarla, di conseguenza.
Di solito questa "voglia di horror" torna di voga in un periodo storico di crisi, di irrazionalità, come quello che stiamo vivendo».
Ma per interessare il pubblico è sempre necessario l'omicidio efferato?
«No, no, assolutamente. Ha
un suo senso quando si racconta un certo tipo di storia, un
po' perché la cronaca ci ha abituato a queste cose. A volte serve perché intendi proprio raccontare l'orrore che accade.
Certo, altre volte ci sono cattivi scrittori e cattivi registi che
buttano dentro cose truculente
perché pensano che serva a
vendere. Io non sono d'accordo. Ho letto una storia molto
avvincente e riguardava, semplicemente, la scomparsa di
un portafoglio».
Lei ha avuto molto successo con i suoi libri gialli ma
forse una affermazione maggiore, in questi anni, l'ha
avuta Camilleri con il suo
commissario Montalbano
che si rifà al Maigret di Simenon o al Pepe Carvalho
di Vazquez Montálban. Forse uno stile più vicino al giallo che non al thriller un po'
pesante degli ultimi anni. E'
così? E perché secondo lei?
«Sì, sono d'accordo. Camilleri ha un'altra scuola ma è anche di un'altra generazione,
per cui si rifà al giallo classico.
Io ho altri maestri, tra cui lo
stesso Camilleri. Perché ha
avuto successo? Intanto, perché è più bravo di me, poi perché tutti gli ingredienti sono
buoni, è uno splendido scrittore. Poi, certo, è vero anche che
io sono più vicino a un pubblico più giovane. Penso ad "Almost blue" dove, per esempio,
c'è la componente musicale
molto importante. Alla fine
non so se siano generi diversi,
credo che abbiamo sfumature
diverse che attengono alle nostre diverse generazioni».
Lei è un giovane scrittore
affermato. Quanto si è rinnovato il panorama degli autori italiani? Può fare qualche
nome di quelli che ama di
più e di quelli che ama di meno?
«Il panorama degli scrittori
di genere è da un po' che si sta
rinnovando, direi almeno dalla metà degli anni Novanta. Assieme al gruppo 13, si sono sviluppate tutta una serie di personalità come Eraldo
Bandini,
Giampiero Rigosi. E poi io o
Andrea Pinketts, e ancora tantissimi autori che si stanno affermando. Ce ne sono tanti che
raccontano molto bene. Non direi, invece, che ci sono autori
che non amo, ce ne sono alcuni
che non mi interessano. Ecco,
per esempio, Andrea De Carlo,
bravissimo, non mi interessa.
Come pure Lodoli, grandissimo scrittore, o la stessa Susanna Tamaro, non mi interessa.
Brava finché si vuole, ma non
l'ho letta».
Lei si è occupato di un caso che agli abruzzesi è molto
conosciuto: il delitto, nel
1983, della professoressa Alinovi del Dams, conclusosi
con la condanna del suo allievo universitario Francesco Ciancabilla. E' davvero
lui il colpevole?
«Io mi sono occupato di questo caso e l'ho raccontato. Prima, appena si seppe dell'omicidio ero convinto della colpevolezza di
Ciancabilla, anche da
ciò che ci raccontavano i giornali e la polizia. Quando sono
arrivato in fondo alle mie indagini per raccontare il caso non
sono stato più così sicuro. Esiste un buco nero nelle indagini
fatte dalla polizia di allora, indagini in un senso solo. Quando abbiamo ricostruito il delitto abbiamo trovato dinamiche
completamente diverse e tanti
piccoli indizi che potevano portare in tutt'altre direzioni. Ci
sono ancora troppi buchi neri.
Poi, e ovviamente bisogna
prenderne atto, esiste anche
una sentenza della magistratura che ha dichiarato Ciancabilla colpevole».
Un altro caso che sicuramente la sta interessando è
quello in questi giorni di attualità: la scomparsa e il presunto omicidio della contessa
Vacca-Agusta. Cosa ne
pensa?
«Che è un mistero, ovviamente. E potrei aggiungere altre banalità come che è molto
giallo. Se non fosse un caso di
cronaca sarebbe bello: la scomparsa, la contessa, tutti i soldi
che ci possono essere dietro.
Purtroppo, è un caso di cronaca ed è una brutta storia. Fino
a che non arrivano i risultati
delle analisi scientifiche siamo
autorizzati a fare tutte le ipotesi tipiche del giallista. Quella
che mi appassiona di più è che
sia stata uccisa e portata via
dalla villa».
Una storia che avrebbe voluto inventare.
«Certo, avrei voluto inventarla perché, intanto, se non
fosse stata vera non ci sarebbe
stato un morto. E poi perché è
una tipica storia di noir, si può
raccontare la vita delle persone ricchissime, e, nel caso della contessa, anche i possibili retroscena della tangentopoli italiana».