Da L'Unita', 14/04/2001
Un re nella Sicilia del '700 «Un romanzo storico ambientato nella Sicilia del '700,
che racconta il mondo dei contadini siciliani e la breve
esperienza di autogoverno degli agrigentini all'inizio
del secolo dei Lumi». Così Andrea Camilleri inizia a raccontare
in anteprima a l'Unità la sua ultima fatica letteraria,
la sua opera più ambiziosa, un romanzo storico di 460
pagine dal titolo "re di Girgenti". Camilleri il
romanzo l'ha già consegnato ad Elvira Sellerio ed il testo
che dovrebbe uscire a maggio è sottoposto all'ultima revisione
tipografica. Più di cinque anni dedicati alla stesura di una struttura
narrativa che rappresenta la sua opera più ambiziosa? La distoglievano gli altri scritti? Come è nata l'idea di scrivere questo romanzo? In questo caso, lo spunto è una rivolta contadina? Dall'evento alla ricostruzione del contesto... Così lei si distacca dal filone veristico dei suoi
primi romanzi storici, come un Filo di fumo» e La Stagione
della caccia e sembra propendere per una trasfigurazione
fantastica della realtà contadina. Non vi è parallelismo con la Sicilia contadina raccontata
da Verga? Si entra così nel vivo della rivolta contadina? Dall'escamotage narrativo, che è il primo livello
dei suoi romanzi alla ricostruzione storica, sociale ed
antropologica? Qualche similitudine con il commissario Montalbano? Nell'ultima parte racconta l'ascesa al patibolo di
Zosimo, vi è un terzo livello di lettura del suo romanzo:
filosofico-simbolico? È la conclusione del Trattato logico di Wittgenstein? Un romanzo storico, non privo di elementi simbolici
e fantastici? Come ha ricostruito il dialetto siciliano del '700? Camilleri oltre al Re di Girgenti ha in serbo per
i lettori un nuovo romanzo su Salvo Montalbano? Camilleri, un giudizio sull'Italia di oggi? Le hanno chiesto di candidarsi nel collegio senatoriale
di Agrigento, perché ha detto no?
«Una fatica, mi creda, che non intendo ripetere. Avendo
scritto il romanzo nell'arco di cinque anni, ho dovuto
fare un lavoro di unificazione assai complesso, poiché
nel tempo è mutata la scrittura, così son cambiati lo
stile e il timbro». Dopo una breve pausa Camilleri aggiunge
con un filo di ironia: «Dalle "uova di giornata" sono
passato ad un lavoro di rielaborazione continua, e non
solo di cesellatura come avviene con gli altri scritti,
ma di vera e propria modificazione. Sono abituato a scrivere
un romanzo, a perfezionarlo e pubblicarlo. Invece il Re
di Girgenti è rimasto nel cassetto, sottoposto ad una
continua riscrittura, perché vi erano dei nodi irrisolti,
le giunture e le connessioni non erano perfette».
«Non è che mi distogliessero, ma si è creata una pluralità
di linguaggi e stili che inevitabilmente hanno interagito.
Nel caso del Re di Girgenti che è un romanzo ambientato
nella Sicilia del '700 vi è stata la difficoltà di sintetizzare
la molteplicità di dati contenutistici e linguistici che
ho raccolto».
«Più di cinque anni fa nella libreria sotto casa mia a
Roma sfogliai per caso un libro sulla Sicilia, una interessante
presentazione dei capoluoghi di provincia dell'isola.
Lessi che se pur per poco tempo Agrigento agli inizi del
'700 era stato regno autonomo, retto da un contadino,
Michele Zosimo, che in seguito venne giustiziato. La vicenda
mi incuriosì e cercai di capire se si trattava di una
leggenda o di un evento storicamente fondato. Riuscii
a rintracciare l'autore, che mi disse di aver appreso
il fatto dalle Memorie agrigentine di fine '800 del Picone.
Ma il materiale su questo episodio non superava le due
pagine e mezzo. E si trattava di notizie storiche frammiste
ad elementi di leggenda. Allora pensai, parto dal dato
storico e ricostruisco narrativamente la vicenda. In un
certo qual modo, la stessa procedura de La strage dimenticata,
dove partii dal nome delle vittime. Dalla mia ricostruzione
narrativa gli storici "veri" hanno lavorato su un fatto
dimenticato».
«Esatto. Vorrei che fosse chiaro che si è trattato di
una rivolta contadina nella Sicilia del '700, un evento
dimenticato ma importante».
«La ricostruzione del contesto l'ho legata alla vita del
protagonista del romanzo, il contadino Michele Zosimo.
E per meglio far comprendere il dipanarsi del fluire storico
ho anche raccontato il periodo antecedente ai fatti. Non
a caso nella prima parte del romanzo "Come Zosimo venne
concepito", racconto la storia dell'incontro dei suoi
genitori (braccianti agricoli) e le loro traversie. In
questa premessa ho adoperato molto lo spagnolo, che alterno
al dialetto locale. Siamo nella seconda metà del Seicento
e la Sicilia è sotto il dominio spagnolo. Poi vi è un
intermezzo sulla nascita di Zosimo. Nella seconda parte
mi soffermo sull'infanzia e la giovinezza del protagonista
del romanzo. Qui ho tirato in ballo una infanzia magico-contadina:
vi è un prete che lo istruisce; gli dà lezioni di latino
e greco. Ma il giovane incontra anche un mago, un astronomo,
insomma ha una preparazione magico-scientifica di stampo
cinquecentesca. Non a caso nell'abitazione di Zosimo,
gli agenti investigativi troveranno frammenti di libri
da Magia Naturalis di Della Porta e da Dignitate hominis
di Pico della Mirandola».
«Non vi è alcun dubbio. In particolare in questa parte
del romanzo parlerei di un verismo-naturalistico, che
ha tratti magico-fantastici. In tutto il romanzo vi è
comunque una trasfigurazione fantastica della realtà contadina».
«In questo romanzo vi è diversità profonda dalla Sicilia
di Verga. Vede il nodo centrale è che la Sicilia dei grandi
narratori veristici è quella ottocentesca, storicamente
documentabile, e conosciuta direttamente dagli autori.
Nel caso del Re di Girgenti, si tratta di una Sicilia
contadina del '700, un esperimento letterario profondamente
diverso, con la difficoltà primaria della mancanza di
fonti dirette e la scarsità di documenti storici. Ad esempio,
uno dei passaggi che più mi hanno impegnato è stata la
scrittura di cento pagine documentali, con riferimenti
ai principali eventi storici dell'epoca, che ho interamente
ricostruito sul piano narrativo. La prima parte della
vita del protagonista coincide con fenomeni storici quali
la carestia, la siccità, la peste. Una realtà complessa
che ho tentato di ricostruire nella parte centrale del
romanzo, nella quale i riferimenti storici giungono fino
al regno dei Savoia in Sicilia con Vittorio Amedeo».
«Come fu che Zosimo divenne re, la terza parte del romanzo.
Racconto la rivolta, le condizioni di vita dei contadini,
la narrazione si incrocia come nel resto del romanzo con
elementi storici e sociologici. Cerco anche di rappresentare
il conflitto e la dialettica sociale».
«Un livello che è sempre connesso al precedente, è inscindibile.
Dalla scena dell'incoronazione, del trionfo del Re di
Girgenti, si passa all'ultima parte del romanzo, Come
fu che Zosimo morì. Racconto i momenti prima della morte,
l'ascesa al patibolo. In questa parte finale ha un ruolo
importante il capitano di giustizia Pietro Montaperto,
che è realmente esistito. È lui ad arrestare Zosimo».
«Sul piano del carattere, non sul piano del metodo di
indagine. Direi che assomiglia al nostro commissario per
la sua capacità di intuire la verità, di capire la psicologia
degli uomini. Diciamo che è un lontano avo di Montalbano».
«Racconto la morte di Zosimo servendomi di riferimenti
simbolici. Significativo, l'elemento della memoria. Zosimo,
salendo i cinque gradini che lo portano al patibolo, ha
dei ricordi di vita frammisti ad elementi letterari. Gli
risuonano in mente versi della Divina Commedia, citazioni
in lingua araba. Il protagonista si chiede il senso di
alcuni frammenti della sua memoria, di alcuni suoni, vorrebbe
ripeterli per esteso. Giunto però alla sommità della scalinata
conclude che se di alcune parole non conosce il significato,
meglio non dirle...».
«Vi è uno smarrimento, si coglie l'impossibilità di comprendere
appieno le cose, vi è la rinuncia a capire. Zosimo, però,
nei momenti finali della sua vita, durante la preparazione
dell'esecuzione si affida alla fantasia e se essa incombe
ed arretra dinanzi alla morte, sono i sensi e l'istinto
del protagonista ad alimentarla...».
«Voglio proprio vedere come faranno alcuni critici a definirlo
un "giallo". Non le nascondo che la cosa mi diverte».
«Lei ha toccato una questione fondamentale, il linguaggio
o meglio i linguaggi. Nella costruzione del romanzo e
nella sua lunga gestazione, una delle difficoltà preponderante
è stata la lingua. Un esperimento che mi è costato dura
fatica. Fin adesso nei miei romanzi, tranne alcune eccezioni,
avevo adoperato un linguaggio medio-borghese o piccolo-borghese;
nel Re di Girgenti ho invece fatto parlare dei contadini.
Cosa ancora più complessa con il dialetto siciliano del
'700. Mi sono documentato su vari testi, ho consultato
il Pitré, ho fatto una ricognizione storica, sociale e
antropologica. Ho fatto un grande sforzo per rendere comprensibile
il dialetto siciliano, smussandolo, cercando dei termini
equivalenti per definizioni desuete. Ovviamente un lavoro
altrettanto minuzioso ho fatto con lo spagnolo, con il
supporto di raffinati specialisti quale Angelo Morrino.
Fra le altre cose ho letto Cervantes nella versione originale
per acquisire il suono spagnolo; il suono di una lingua
è essenziale per la scrittura, il suo ritmo, la sua musicalità».
«Le dirò che in realtà sto lavorando ad un racconto lungo
di 120 pagine incentrato su Montalbano, che uscirà sempre
per Sellerio. Ma non si tratta del sesto romanzo. Il racconto
ruota attorno ad una vicenda di un operatore finanziario
che organizza una truffa colossale e poi si volatilizza».
«Nessuna cosa al mondo mi farà diventare pessimista sull'Italia,
nemmeno Berlusconi. Credo in una capacità di recupero
degli italiani. La cosa che invece temo è la spinta eccessiva
verso il federalismo e la devolution. Nella loro versione
estremistica finiscono per coincidere con l'egoismo. Per
l'Italia serve un nuovo spirito unitario, un atteggiamento
positivo come quello che avemmo nel periodo del dopoguerra».
«A settantasei anni non si può far bene il parlamentare
di collegio, che deve essere presente e attento alle esigenze
dei cittadini. Non si può essere senatori onorari; la
politica di oggi ha bisogno di chiarezza e di impegno».
Salvo Fallica