La Stampa 22.05.2001

Camilleri: un po’ di ambiguità è il sale della scrittura
A pochi giorni dal voto che ha cambiato la geografia politica in Italia, la domanda è inevitabile per uno scrittore di successo che in campagna elettorale non si è tirato indietro, pubblicando una serie di racconti ad hoc su MicroMega e firmando un duro appello contro il Vincitore (auto)designato: è soddisfatto del suo impegno, indipendentemente dal responso delle urne? A Andrea Camilleri, ospite ieri pomeriggio dell’Unione Industriale dopo le acclamazioni alla Fiera del Libro, la questione è stata posta dal direttore della Stampa Marcello Sorgi, «lettore appassionato e amico». «Ho firmato quel manifesto, partito proprio da Torino, sottoscritto per primo da Norberto Bobbio, e me ne sono sentito onorato perché lo ritengo un documento storico. La mia posizione riguarda il Cavaliere, non il centrodestra: il conflitto di interessi c’è e non si può sottovalutare. Ma non mi piace l’impegno politico assolutamente radicalizzante. Siamo in una democrazia, e la maggioranza degli elettori ha fatto la sua scelta. Si tratta di continuare a mandare segnali di allarme dove ci fossero pericoli di deragliamento». Camilleri aggiunge però di avere aderito all’appello «non da scrittore di successo, ma da cittadino italiano, nato in Sicilia». L’italianità e la sicilianità, la lingua e il dialetto, il rapporto con il concittadino Pirandello (a cui ha dedicato la Biografia del figlio cambiato , uscita a novembre da Rizzoli): sono stati il filo conduttore dell’intervento dello scrittore davanti a un pubblico folto e attento, incalzato dalle domande di Sorgi, che con lui ha pubblicato l’anno scorso da Sellerio il libro-dialogo La testa ci fa dire . È vero che nella Sicilia dell’800 l’Unità d’Italia non è stata vissuta con troppo entusiasmo, però, dice Camilleri, «quando nel Gattopardo c’è l’incontro fra il principe di Salina e il cavaliere piemontese Chevalley, che lo invita a impegnarsi per il nuovo Stato, io sono tutto dalla parte di Chevalley. E bisognerebbe esserlo ancora, tutti. Sono troppi i principi di Salina...». C’è spazio anche per il privato, per il mestiere di scrivere e le sue vicissitudini. Sorgi ricorda la pervicacia di Camilleri nel voler fare lo scrittore, fin da quando aveva 18 anni, anche se ha dovuto aspettare di avere superato i 50 per pubblicare, nel ’78, il primo romanzo, Il corso delle cose , a lungo tenuto nel cassetto, e arrivare ai 70 per diventare un fenomeno da 5 milioni di copie. Vengono a galla episodi su cui lo scrittore preferirebbe sorvolare, come quando venne espulso dall’Accademia di arte drammatica perché aveva la tendenza a intrufolarsi nel convento di suore dove alloggiavano le attrici («proprio un "pizziputurro", un gran discolo», ridacchia Camilleri, «come diceva mia nonna»). O quell’altra storia del contrabbando di sigarette. «Precisiamo», dice lui, «non facevo il contrabbandiere: erano quei greci della malora della Minerva, la casa di produzione cinematografica, che mi davano da leggere i copioni e mi pagavano con stecche di sigarette. Io mica potevo fumarle tutte: e allora andavo a venderle alla stazione Termini». Dal pubblico, una raffica di curiosità. Su Montalbano, inevitabilmente: lo farà mai sposare con Livia? «È una delle cose che mi chiedono più spesso: non lo dirò mai, nemmeno sotto tortura. Anche se la vera domanda dovrebbe riguardare l’autore: fino a quando potrà raccontare le storie di Montalbano?». Sull’ambiguità siciliana: «Dipende dal punto di osservazione. Come una stereofonia. Ma è qualche cosa connaturata a ogni tipo di scrittura e all’uomo che scrive, a Pirandello come a Malraux. Un po’ di ambiguità è il sale della scrittura». Sull’uso del dialetto: «Capace ancora di resistenza all’omologazione della lingua, di una verità di sentimenti e affetti che stiamo perdendo». E sulla ricetta del successo editoriale: «Ho sentito qualcuno dire che quando uno scrittore di mezza tacca decide di scendere di qualche altra tacca, allora incontra il pubblico. Questo è offensivo verso i lettori. Il bestsellerista non esiste: esiste la felicità, il divertimento nel raccontare. Certo scrivere è una fatica, ma non va mostrata: le "sudate carte" devono essere presentate pulite. Quando il lettore avverte la fatica dell’autore, fatica anche lui a leggere».

Maurizio Assalto