La Stampa 23.06.2001
«Nel commissario rivedo mio padre»

UN nuovo Montalbano, a sorpresa. Tutti si aspettavano l’annunciatissimo (fin da gennaio) Il re di Girgenti, un romanzone ambientato nel ’600 a cui autore e editore danno grande importanza, invece ecco L’odore della notte, una nuova (la sesta) inchiesta del commissario creato da Andrea CAMILLERI, consacrato dalla trasposizione televisiva e ancor più dalla parodia dell’Ottavo nano («Montalbano sono!»). Un’indagine atipica, per la verità, con il protagonista che vi entra quasi per caso, neppure ufficialmente investito, mantendosi sempre ai margini, dissimulandosi, guidando alla soluzione senza apparire. Niente mafia, questa volta - anche se tutti appaiono convinti del contrario. Al centro della vicenda un «mago» della speculazione finanziaria, che dopo avere rastrellato i risparmi di fiduciose allodole, abbindolate con lo specchietto di iniziali rendimenti da 20 per cento in su, sparisce con la cassa. Intorno al truffatore, un giovane assistente omosessuale come lui e a sua volta scomparso nel nulla, un’attempata segretaria dolente e innamorata, una sfolgorante «picciotta» laureanda in economia. Nella storia entrano personaggi vecchi e nuovi, un uomo che sembra un pappagallo, un pappagallo vero che canta l’Internazionale, un professore matto-ma-non-troppo, un pullover-zombie che va e viene e non si riesce mai a sbarazzarsene. Di straforo, entra pure «un vecchio filosofo che vive a Torino», che i lettori non faticheranno a identificare in Norberto Bobbio, un cui pensiero letto su un ritaglio di giornale (nella realtà La Stampa di fine aprile) - «quando si diventa vecchi, contano più gli affetti che i concetti» - dà da riflettere a Montalbano, che ha appena superato i 50 anni. La psicologia del personaggio si arricchisce di sfumature, di nuove idiosincrasie. I riferimenti all’oggi «più oggi» - Nasdaq, Numtel, Internet, mucca pazza, afta epizootica - dicono di una composizione recente, recentissima. CAMILLERI, ancora pochi mesi escludeva che avremmo letto un Montalbano prima dell’anno prossimo. Che cosa è successo, quando l’ha scritto? «La verità è che, quando ebbi consegnato il dattiloscritto del Re di Girgenti, nelle mie due lettrici - mia moglie e Elvira Sellerio - nacque un dubbio su una certa parte del romanzo. Il dubbio l’avevo io stesso, ma facevo finta di niente: baravo. Le due “streghe” l’hanno scoperto e io mi sono lasciato facilmente convincere: ho riscritto 120 pagine. A questo punto il libro sarebbe stato pronto per l’estate, ma Elvira giustamente lo giudicava inadatto per questa stagione. Così mi chiese un Montalbano». E lei, «in un vidiri e svidiri»... «L’impresa sarebbe stata impossibile se non avessi avuto già pronte 50 pagine. Me le avevano chieste per un racconto in 5 puntate che sarebbe dovuto uscire a pagamento sui maggiori quotidiani, per pubblicizzare la vendita del Banco di Sicilia a una catena formata da banche del Nord-Est e industriali siciliani, mettendo in guardia dagli avventurieri. Invece il Banco di Sicilia venne ceduto alla Banca di Roma, e io mi trovai con questo racconto di cui non sapevo che fare. L’idea per svilupparlo me l’ha fornita Ciccio La Licata, con un articolo, uscito su Specchio, in cui si raccontava di un tizio che aveva messo su una catena di Sant’Antonio miliardaria e poi era saltato in aria con la sua auto». Quanto ha impiegato per concluderlo? «Un mese, tra aprile e maggio. Quando scrivo mi viene come una frenesia, tralascio ogni impegno, sparisco dalla circolazione, non pago le bollette (meno male che c’è mia moglie...). In quei periodi mi dà fastidio tutto, non voglio fare altro che scrivere». Perché quel finale, con Montalbano che si accorge di essersi infilato in un racconto di Faulkner - quasi un déjà-vu letterario? «Le citazioni faulkneriane nei miei libri sono frequenti, anche se abbastanza ben celate. Ma uno studioso le ha individuate una per una, così qui ho deciso di giocare a carte scoperte. Montalbano entra in una situazione reale che però è già stata mediata da un racconto di Faulkner, Omaggio a Emilia. Arriva a prevedere quel che accadrà perché lo aveva già letto prima. È un tentativo molto ambizioso». Anche un po’ borgesiano. «Certo, Borges non è citato ma chi lo conosce se ne accorge. Molte indagini di Montalbano sono borgesiane. Sarebbe divertente un’indagine su quel critico, immaginato nella Biblioteca di Babele, che studiando Cervantes riscrive il Don Chisciotte, per capire come ci sia arrivato. In fondo anche il poliziotto cerca di identificarsi con il modo di ragionare dell’assassino, riscrive la sua storia». Come mai nell’«Odore della notte» non c’è la mafia? «Cosa Nostra non è detto che debba entrare in tutto. A volte è anche un bell’alibi». In questo libro Montalbano, fuori degli schemi più che mai, si abbandona addirittura al vandalismo, per «vendicare» il suo amato «aulivo saracino» sradicato. E continua a mietere cuori femminili. Quanto di lei c’è nel commissario, di lei com’era 25 anni fa, o di lei come avrebbe desiderato essere? «In realtà, come ha scoperto mia moglie, Montalbano è al 60 per cento mio padre. C’è la sua ironia, il senso pratico, la voglia di accomodare, di perseguire la verità senza trasformarsi in rappresentanti dell’Inquisizione. E certi suoi silenzi, un certo coraggio che io non ho».

Maurizio Assalto