L'Espresso 06.08.2001
Andrea Camilleri. O socialdemocratici o morte.
È tempo, dice, di una svolta storica. Che deve realizzare Berlinguer. E in futuro? Ben venga Cofferati
di Chiara Valentini

Ma quante divisioni ha Camilleri?..., aveva chiesto ironicamente qualcuno dopo che il padre del commissario Montalbano, assieme ad Antonio Tabucchi, a Michele Serra, a Paolo Flores D'Arcais, aveva manifestato l'intenzione di iscriversi ai Ds a sostegno di Giovanni Berlinguer. Troppo facile rispondere che sono quattro milioni i lettori di Andrea Camilleri, anche perché una buona dose di loro saranno con ogni probabilità elettori di Berlusconi. Ma non manca certo a questo inarrestabile scrittore, arrivato al successo attorno alla settantina (e questo per Berlinguer suona come ottimo auspicio), la capacità di esprimere gli umori di un mondo di sinistra nervoso e confuso, alla ricerca disperata di una via d'uscita.
Chiara: Come mai le è venuto in mente di buttarsi nella mischia del congresso dei Ds?
«Quest'estate provavo tanto disagio per le liti in quel partito che avevo smesso di seguirlo, avevo inconsciamente chiuso i contatti. E così, quando Paolo Flores d'Arcais mi aveva chiesto di sostenere Berlinguer, gli avevo risposto: «Non ci penso proprio», credendo che si riferisse a Luigi. Ma al nome di Giovanni era stato come se mi si accendesse una lampadina. Un impolitico, uno scienziato, un uomo legato alla storia del partito ma fuori dagli apparati. Finalmente una speranza, una buona ragione per tornare alla vecchia sezione Mazzini a chiedere la tessera».
Chiara: Da quando aveva smesso di rinnovarla?
«Sono stato un militante discontinuo. Mi ero iscritto nel '44 e poi ero andato via negli anni Sessanta, per stanchezza, senza sbattere la porta. Ai tempi del referendum sul divorzio avevo sentito aria di battaglia ed ero tornato per un po'. Adesso avverto di nuovo questo richiamo ad esserci, a fare qualcosa di utile».
Chiara: Perché i diessini sono così sbandati, divisi, ridotti al minimo storico del 16 per cento?
«Passare da un partito come il Pci alla socialdemocrazia è una cosa complicatissima. È un processo che procura delle febbri spaventose, che ti porta quasi in punto di morte. Ma è una crisi da cambiamento, da crescita, da cui è possibile guarire, se si trova la medicina giusta. Non vedo dietro l'angolo scissioni o dissoluzioni».
Chiara: E secondo lei un uomo del passato come Giovanni Berlinguer può far nascere il partito socialdemocratico?
«Lo vedo come il portatore di quell'idea diversa e limpida di una politica senza scambi e furbizie, indispensabile per ricostruire qualcosa. In questi anni i militanti ne hanno dovute sopportare di tutti i colori. Conosco tanti bravi compagni del Mugello che erano arrivati con parecchio sforzo fino a votare per Di Pietro. Ma dopo erano rimasti a casa. "Come puoi andare a votare per qualcosa che non si riesce a capire cos'è, che non ha identità?", mi avevano detto. Era difficile dar loro torto».
Chiara: È convinto che la responsabilità sia prima di tutto di Massimo D'Alema?
«Non ho nessun pregiudizio contro l'uomo D'Alema, che ha fatto molte cose buone. Per esempio l'intervento in Kosovo quando era presidente del Consiglio, dato che era nostro dovere rispettare i patti internazionali. Gli sono anche personalmente riconoscente perché aveva voluto far da moderatore, a una festa dell'Unità, fra me e Montalbán, dandomi l'occasione di conoscerlo. Ma in politica basta un errore per rovinare tutto. L'errore di D'Alema si chiama Bicamerale. Ha fatto rinascere Berlusconi che era a terra, ha ridato spazio anche a Fini e in conclusione ci ha portati a perdere le elezioni. È più che sufficiente per dire: "Adesso fatti da parte"».
Chiara: I dalemiani non hanno apprezzato il vostro appello. E Fassino lo ha definito sconcertante.
«È un termine civile. Una volta mia moglie fece una manovra sbagliata e un automobilista che passava le gridò "somara". La costrinsi a rincorrerlo, per dirgli la mia stima di fronte all'uso di un vocabolo così poco consueto».
Chiara: Proviamo a immaginare il suo intervento al congresso dei Ds. Da che cosa partirebbe?
«Dalla necessità di alzare il nostro concetto di moralità pubblica. Credo che direi: "È vero che non rubiamo, però evitiamo di lasciar fare, di lasciar rubare, perché questo porta danni spaventosi". Prendiamo il conflitto d'interessi. L'opposizione ormai sta zitta e intanto il conflitto d'interessi si diffonde come un virus, con il sottosegretario Taormina che pretende di difendere Prudentino e il ministro Lunardi che progetta lavori pubblici che poi eseguirà l'impresa di famiglia. Ma Lunardi ha fatto ancora peggio con la famosa frase sulla mafia. Da siciliano, l'idea che uno con i gradi da ministro possa dire una cosa di quel tipo mi ha lasciato "strammato", ovvero attonito».
Chiara: Sui fatti di Genova che cosa direbbe dalla tribuna del congresso?
«Che di fronte all'abuso di manganello bisogna avere il coraggio di tornare in piazza, naturalmente in modo pacifico».
Chiara: È d'accordo con Sergio Cofferati che accusa l'opposizione di essere debole...
«Sì, ha toccato un nervo scoperto, come si è visto da certe risposte troppo brusche».
Chiara: Ma Cofferati è un possibile candidato segretario dei Ds, sia pure non per l'immediato. Non c'è il rischio di confondere i ruoli fra partito e sindacato?
«Per anni e anni la Cgil è stata dipendente dal Pci. Niente di male se per una volta la cinghia di trasmissione si rovescia. Che poi un uomo come Cofferati si prepari sia pure con molta cautela a un futuro politico mi fa solo piacere. Ma sia ben chiaro, parlo di futuro. Nel presente è Berlinguer l'uomo giusto».
Chiara: Anche lei si considera un comunista "arraggiato", cioè arrabbiato, come il suo commissario Montalbano?
«Ma no, Montalbano è solo un uomo onesto, leale, che reagisce di fronte alle ingiustizie, alle storture. Il comunismo non c'è più, non si può restare attaccati a un'idea quando è stata sconfitta. Ormai è rimasto solo Berlusconi a parlare di comunismo. Purtroppo funziona».
Chiara: Nel suo ultimo romanzo, "L'odore della notte" (Sellerio), lei racconta una truffa ai danni degli abitanti del solito paese di Vigàta, abbagliati da un personaggio che promette ricchezze fasulle. Un'allusione all'Italia di oggi?
«Le mie storie non sono mai estranee alla politica. Montalbano ha attraversato la storia italiana di questi anni, a partire dal primo romanzo, "La forma dell'acqua", dove c'era la lotta feroce fra le varie fazioni della Dc. Adesso Montalbano è arrivato all'epoca di Berlusconi».