Il Tempo 21.10.2001
C’è Masaniello dietro alla rivolta di quel contadino

COSTRUITO sulla base di una scarsa documentazione, e quindi con l'atteggiamento di chi deve concedere all’invenzione più del necessario (esattamente il contrario del procedimento di Leonardo Sciascia...), questo nuovo romanzo di Andrea Camilleri «Il re di Girgenti», si avvale di una proliferazione, soprattutto di strutture linguistiche, che ancora una volta costringono al rammarico per una dispersione nel pubblicare tanto del tutto ingiustificabile. Si vuol dire che in questo testo (in cui il potenziale strutturale domina in assoluto e lascia ampio spazio per alterazioni linguistiche gustose e di forte capacità intuitiva) in questo nuovo esempio di narrativa che cerca di prendere le distanze dal romanzo storico tradizionalmente inteso, il confronto - si dovrebbe dire la sfida - fra ricerca d’archivio e forza inventiva è tale, così epicamente pugnace, da produrre ammirazione per chi ha saputo condurla con tanta saggezza, parsimonia, equilibrio. Forse, questa nuova condizione del «narrare storico» è dovuta alla casualità con cui Camilleri, nel lontano1994, è andato a imbattersi in una vicenda che lo ha «strammato», come lui sicilianamente dice. Gli archivi sono avari di notizie intorno ad un personaggio, Zosimo, vissuto nell’Agrigentino fra Sei e Settecento, oscuro e misterioso quanto basta per farla franca sulla documentazione, e affidarsi unicamente alla propria fantasia. La quale ultima, sicuramente non difetta a Camilleri, e qui viene posta in essere con cautela ed equilibrio.
Il materiale storico a disposizione, riguardante una figura che somiglia terribilmente a Masaniello e ad altri di una simile categoria storico-civile, risulta così scarso che il ricorso al mistero, all’oscurità del documento, finisce per risultare un punto di forza del romanzo, che non è perciò una «storia» come tante, ma un  «cunto», laddove a tale vocabolo va consegnato l’intero potenziale fabulatorio che gli affidavano taluni classici, per esempio Giambattista Basile: il quale parlava anche di intrattenimento per i più piccoli, e questo romanzo di Camilleri possiede sicuramente tali facoltà fabulatorie. Il contadino Zosimo, che nel 1718 arringa e guida il popolo agrigentino a vincerla sulla guarnigione sabauda, toglie armi e potere ai nobili, e li disarma costringendoli alla resa, fino a diventare un re, questo villico d’altri tempi possiede in sé molta carica umana, a quest’ultima è tutta di Camilleri e per nulla della storia che dovrebbe stargli dietro e invece non esiste. Regala un sogno ai diseredati, è vero, ma con la consapevolezza di una gattopardesca convinzione che nulla cambia, tutto resta come prima.
C’è un bel carico di poesia, o se si vuole di poeticità, in tutto questo, e allora la componente più importante di tutta l’operazione consisteva nell’impiego di una cifra stilistica avvincente e convincente, fenomeno non sempre presente nei testi di Camilleri.
Lo svariare degli stili, nel caso specifico, guida verso una vivace variabilità di scrittura che trasmigra dal reale al visionario con forte e convinta facilità di eloquio. Un esito felice, insomma, che dovrebbe persuadere alla parsimonia, non alla dispersione delle proprie, innegabili doti.