Commovente, importante e dolce. Praticamente un vero libro: un vero
e proprio cunto con cui fare festa di malinconia e dolore. Sarà
pure un calepino di "dolenti tenerezze e corrotti desideri", ma Il re
di Girgenti (Sellerio, pagg. 448, lire 22mila) storia meravigliosa
dell'eroe Zosimo che aveva un ramo di albero duro tra le gambe, è
il secondo grande libro di Andrea Camilieri, secondo cronologicamente al
Birraio di Preston, ma primo in perfezione artistica.
C'è tutto appunto, tutto in un impeccabile scheletro aristotelico.
C'è la risata spalancata nella pancia, la lacrima chiusa in gola,
il chissà come può andare a finire, la catena infinita dei
personaggi e infine il contesto: a metà tra Seicento e Settecento
in Sicilia, tra spagnuoli e savoiardi, "un pedi leva e l'autru metti" tra
popolo e epica. C'è il Diavolo, c'è un mago, c'è un
bandito, c'è uno sbirro di valore. C'è un prete, patre Uhù,
che fa la parte del precettore ardito, c'è un valletto puppo, c'è
un nobile suicida, c'è una bandiera, ossia una testa di toro e c’è
un sottinteso simbolo, non falce e martello, ma falce e zappuni, come s'addice
alla pratica di libertà di un popolo contadino. C'è il profumo,
l'ascella della madre dell'eroe che ha "sciauro della luna in una notte
d'austu".
SCENA DA ANTOLOGIA
E la madre Zosimo lo partorisce con l'aiuto di una gallina che regala
l'uovo, di una capra che offre il latte, di un cane che lecca l'infante
e infine mangia la placenta. C'è l'amore manco a dirlo: in due pagine
di miracolo sentimentale, Camilleri (che ci deve perdonare di tutte le
malaparte fattegli per tutte le volte che s'infila in politica), ha scolpito
una scena da antologia.
Quando l'eroe perde la sua donna - lei, incinta, muore cadendo da un
albero di pere - scannato dal dolore si tuffa tra i rovi di una grotta
dove da piccolo aveva imparato il punto esatto per guardare ciò
che c'è e ciò che non c'è. Taglia in fretta un flauto
di Pan, e con la forza della disdetta, con la paura di non riuscire a suonare
per il terribile bisogno di piangere, Zosimo soffia sul flauto la stridula
nenia della disperazione. soffia senza staccare un istante le labbra dalle
canne fino a quando rivede lei di spalle camminare verso il fondo del buio.
Soffia e non può chiamarla, sa bene che se smette la musica, se
la chiama senza l'incantesimo del flauto, smette pure l'apparizione e allora
soffia con ancora più disperazione e la chiama con gli occhi. Lei
se ne accorge, si volta indietro e non può allora dargli altra parola
che un'espressione, una sola espressione d'infinita tristezza: "Oramà!".
Ormai più niente.
C'è tutto in questo romanzo da cantastorie, con Zosimo che assomiglia
all'eroe, da sempre sognato da chi vuole gustarsi un'avventura. Anzi, una
lunga avventura che tocca più di una generazione. Un’avventura politica
con l'eroe che da "sociale" diventa "Re", re di un aquilone con cui potere
lasciare il cappio e andare oltre le nuvole, oltre il sogno di chissà
che. Con quel ramo d'albero duro tra le gambe Zosimo incarna l'archetipo
del capo popolo, precisamente il capo popolo di una causa veramente popolare.
Pratico di greco e di latino, alto d'ingegno e grande di cuore, Zosimo
che però si chiama Michele, è figlio di una razza attentata
fare il passo giusto: "Nui dobbiamo apprisentarci quanno il jorno non è
più jorno e la notti non è ancora notti". E chissà
come va a finire questa storia che adesso non vogliamo raccontare tutta
per non disturbare il piacere di scoprirsela perché infine, "si
cunta e si bocunta" sì, ma giusto in quel preciso momento quando
in una ciurma d'amici cala il silenzio che precede "il momento dei saluti".
La cifra di paragone è Miguel de Cervantes, ossia il romanzo scavato
in campagna intorno al miraggio di "una scanata di pane".
QUANDO NON PARLA DI POLITICA IL NARRATORE SICILIANO DA' IL MEGLIO
E’ un romanzo orale, parlato, urlato, sussurrato perfino. E’ un romanzo
di puro suono, ovviamente redatto in siciliano (con qualche inserto in
spagnuolo), forse difficile per un orecchio non aduso, ma a forza di "cunto
e di boncunto", a forza di suggestione, risulta facile e veloce, vertiginoso
quindi, anche in virtù delle continue sorprese drammaturgiche. Camilleri
ci deve assolutamente perdonare per tutte le volte che l'abbiamo pigliato
a sfottere, ma anche lui però deve convincersi che quando sprofonda
nel romanzo vero, senza concessioni alla facile propaganda di regime, senza
i sinistrismi del sinistrato conformismo, fa letteratura, anzi, assolve
al suo destino di artista.
Ovviamente Il re di Girgenti è edito da Sellerio e, si
dovrebbe dire a questo punto, con un libro così, era naturale che
il marchio fosse appunto lo chic blu Sellerio.