Il Messaggero 06.11.2001
Camilleri, l’utopia del re contadino
UNA breve, fulminante parabola di vita e di morte, dove si incontrano
“sciupafemmine" e maghi imbroglioni, nobili cornuti e nobili infoiati.
Una scheggia di storia remota come il petulante ronzio di una favola, riscritta
al di là delle sue poche e risicate fonti, e così salvata
dal buco nero della dimenticanza, sulla base dei pochi elementi su cui
si sono accaniti “omissioni, distrazioni, tergiversazioni di storici".
La forma de Il re di Girgenti (Sellerio, 448 pagine, 22.000 lire), ultimo
libro di Andrea Camilleri, è quella di un (finto) romanzo storico
ambientato nella Sicilia del ’700, nel mondo dei contadini e con la breve
esperienza di autogoverno degli agrigentini all’inizio del Secolo dei Lumi
per realizzare il sogno di una società senza classi e ingiustizie.
Al centro della “biografia tutta inventata", il giovane Zosimo che,
nel 1718, guida gli agrigentini, fa giustiziare guardie e funzionari, disarma
i nobili e si proclama re. Per poco tempo, come è capitato a tutti
i Masaniello e i Cola di Rienzo che hanno violentemente mosso il popolo
alla rivolta: con l'inevitabile resa dei conti, Zosimo viene portato lui
stesso al patibolo dai soldati monarchici che hanno ripreso il potere.
E, prima di essere impiccato, vede accanto a sé un filo sottile
che lo guida alla stella cometa in forma di aquilone da cui è sempre
stato accompagnato nella sua esistenza. E l’aquilone lo solleva in alto,
lontano da quel sacco vuoto che oscilla sotto di sé nella forca.
“Come fu che Zosimo fu concepito", “Quello che capitò negli
anni appresso", “Come fu che che Zosimo divento re", “Come fu che Zosimo
morì"... Il tratto popolare-contadino del “cunto" si mescola con
il “vibrato poetico" del récit-poème secondo l’acuta definizione
di Salvatore Silvano Nigro, autore di un minisaggio travestito da appetitoso
risvolto di copertina. Confezionando i capitoli come siparietti di un gran
teatro barocco con diavoli, vergini, briganti e santi miscelati in fisionomie
ora realistiche ora visionarie, ora grottesche ora scopertamente comiche
Camilleri amalgama la vicenda di Zosimo, da cui confessa di essere stato
“strammato", calandola dentro il tratto della sua inconfondibile scrittura.
Con il ritmo e la musicalità pastosa e miscelata che qui deborda
verso il registro siculo-spagnolo dalla maculata espressività, richiesta
dal contesto rurale e settecentesco della “storia".