l'Unità, 29.12.2001
I panni sporchi del teatro lavati in pubblico
Dalla A di Arlecchino alla T di testo: Camilleri perfetto mestierante delle illusioni con il suo divertente e inquietante dizionario dei termini teatrali

Prima di essere scrittore di larghissimo successo, Andrea Camilleri ha fatto parte di una famiglia strana, un po’ carbonara: quella dei teatranti. sì il suo albero genealogico traspare anche dai romanzi (Il birraio di Preston è tra i più bei racconti mai orditi introno alla quotidianità del teatro), ma con il suo nuovo libro appena pubblicato da Rizzoli, Le parole raccontate (propriamente un Piccolo dizionario dei termini teatrali, come spiega il sottotitolo) Camilleri fa di più: cerca di attrarre al teatro chi con quella famiglia non ha legami. Il trucco è svelare i segreti: lavare i panni sporchi in pubblico, per così dire; ricamando storie e leggende, misteri e qualche luogo comune sulla vita d’ogni giorni di chi trascorre la vita dietro e davanti alle quinte, avvolto in un alone di finzione costante e mirando a riprodurre il mondo vero con il suo piccolo artigianato scenico.
Il libro si compone di tre parti: la prima, più corposa, è propriamente una spiegazione divertita di alcuni termini propri del gergo teatrale, da "Alrecchino" a "Testo"; la seconda è il resoconto stenografico di una breve prolusione tenuta da Camilleri agli allievi del Teatro Verdi di Pisa; la terza è la trascrizione dell’intervista collettiva che a quella prolusione seguì. In appendice, poi, un breve testo di Roberto Scarpa illustra fugacemente il legame di Camilleri con il teatro. Che è un legame cementato in un lungo sodalizio con Orazio Costa Giovangigli, poi in un centinaio di regìe per il palcoscenico e per la tv, infine con due decenni di docenza (materia: regìa) all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Ebbene, anche se la narrativa di Camilleri è sommamente teatrale (propensa al dialogo, oltre che, in senso lato, alla "rappresentazione" dei fatti, e anzi in tale elemento ha una delle sue migliori peculiarità) questo nuovo libro non va letto tenendo a mente Montalbano e Vigàta: piuttosto, è un atto d’amore per i riti della scena. Ci sono i ricordi di scena dell’autore, ci sono decine di aneddoti divertenti (dalle papere alle recensioni scritte senza assistere allo spettacolo); ci sono brevi ma deliziosi ritratti (torna spesso, per esempio, accanto a Orazio Costa, anche quello che sembra essere stato il vero maestro di stile di Camilleri: Silvio D’Amico); poi c’è una costante predilezione per l’artigianato contro il fuoco dell’arte, che spesso brucia le migliori intenzioni, in teatro. Ne viene fuori un Camilleri perfetto mestierante delle illusioni, sulla scia della grande tradizione del teatro popolare italiano. Anzi se c’è una conclusione da trarre, chiusa l’ultima pagina del libro, è che l’Italia ha sempre avuto paura di questa su amagnifica "tradizione popolare" che va dalle maschere della Commedia dell’Arte all’amato (da Camilleri) avanspettacolo. Forse perché nessuno ha saputo fino in fondo estrarre da quel modello scenico, pur così affine alla quotidianità del pubblico, ai suoi sogni, alle sue paure e alle sue delusioni, il senso di autorappresentazione dell’Italia nel suo complesso. Si è preferito vagheggiare allori poetici che non sempre hanno cinto le teste di autori e registi, come sperato. Ecco, in questa chiave, la voce del dizionario dedicata al lemma "regìa" è al tempo stesso spassosa e inquietante, poiché mette in fila i difetti accumulati dalla scena italiana (ma non solo) nel corso del Novecento, sempre all’inseguimento di missioni religiose o politiche improprie rispetto alla realtà e alle emozioni degli spettatori.
C’è un’ultima annotazione da fare. Camilleri si dilunga sul personaggio simbolico di un certo "Godò" che, nel teatro italiano dell’Ottocento, avrebbe raffigurato il tipico impresario di compagnia insolvente: quello sempre atteso dagli attori, ma che immancabilmente non arrivava e lasciava gli interpreti senza paga. Chissà, si chiede Camilleri, se Beckett conosceva questa leggenda quando ha scritto Aspettando Godot?. Ebbene, non sappiamo se la leggenda sia autentica o sia stata inventata da Camilleri per l’occasione: ciò non toglie che in essa sia racchiuso il senso, alto e basso al tempo stesso, del teatro. Speriamo che anche questo, come tutti gli altri volumi di Camilleri, vada a ruba nelle librerie: sarebbe una piccola rivincita per la famiglia, strana e sempre più carbonara, dei teatranti.
Nicola Fano