Il Messaggero, 30.1.2002
E Camilleri parla il dialetto di Lione

Parigi. BAUDOLINO di Eco da Grasset, Si sta facendo sera di Tabucchi da Christian Bourgeois, Montedidio di De Luca da Gallimard, La stagione della caccia di Camilleri proposto con un ricco glossario dove al dialetto siciliano si sostituisce quello di Lione, e poi Manganelli, Baricco, Biamonti, Ammaniti... Una trentina di scrittori italiani sono in vetrina a Parigi o lo saranno in questi primi tre mesi dell’anno. Una pattuglia abbastanza eterogenea con esperienze e generazioni diverse in rappresentanza di circa un settimo dell'intera produzione destinata dagli editori francesi alla narrativa straniera. Si va dall'opera omnia di Sciascia da Fayard alla serie "regionale" di Métailé con i napoletani Montesano, Braucci e Serio. Dice Mario Fusco che «l'interesse per i nostri scrittori sembra rinascere e l'Italia non è più conosciuta solo grazie a suoi classici, Pavese, Moravia, Pasolini e Calvino». Fusco, che ha insegnato letteratura italiana contemporanea alla Sorbonne, è italianista tra i più insigni, traduttore di Svevo, Montale, Morante, Landolfi, Eco, Macchia, Sciascia.
Negli anni Ottanta si parlò di un primo boom. Come valuta il fenomeno? Ci fu un effetto Eco di trascinamento?
«In coincidenza con la Buchmesse di Francoforte, tutti volevano imporre autori italiani. L'esempio spettacoloso del successo del Nome della rosa ha dato qualche idea a editori che finora non si erano per nulla interessati alla letteratura italiana: col risultato che spesso hanno pubblicato cose di validità limitata, contribuendo a una saturazione del mercato e a una overdose su lettori e critica. Sulla scia di questa ebollizione, l'edizione di testi della letteratura classica italiana si è sviluppata in un modo che ci saremmo sognati trent'anni fa».
Il fenomeno non accenna a rallentarsi.
«Basti pensare che ci sono ben quattro o cinque Commedie, dopo quella di Jacqueline Risset, che ha avuto un grande successo, e quella in versi e senza note di Jean Charles Vegliante. Ma ci sono anche Petrarca (con i testi minori e le lettere), Ariosto e Tasso, Machiavelli e Guicciardini, Bruno e Galilei, Vico (ed era ora!), Leopardi (anche lo Zibaldone), Alfieri...».
Quale fu complessivamente l'immagine della letteratura italiana recepita dai francesi?
«Abbiamo avuto immagini parziali, spesso legate a tale o tal altra personalità particolarmente rilevante, con una serie di piccole "mode", Pavese, Bassani, Lampedusa, la Morante, Sciascia e Calvino, Gadda per un po', la Ortese per un altro po', Tabucchi, via via fino a Baricco e, poi, ai "cannibali", tradotti pure loro (e chi sa se era il caso)».
Constata un'attenzione maggiore anche per la poesia? I nostri poeti hanno faticato a essere conosciuti…
«Ungaretti, che era molto legato a Parigi, è stato globalmente tradotto negli anni 50, Montale ha dovuto aspettare la fine degli anni 60 per vedere l'inizio di una sua traduzione; per Saba, ce n'è voluto ancora di più. Negli anni 70, Vegliante ha illustrato e tradotto le tendenze nuove della poesia più recente. Invece negli anni 80 e 90 sono apparsi Caproni, Luzi e Sereni (ad opera di Renard e Simeone, entrambi tragicamente scomparsi), e, più vicino a noi, Viviani e Buffoni, Conte e Raboni, per non dire di molti altri, apparsi in antologie o in riviste».
Il boom sembra scoppiare soprattutto in questo periodo.
«Tutte le case editrici stanno sfornando, in previsione del prossimo Salon du Livre, traduzioni nuove, autori da noi sconosciuti, sperando di poter ricavare un po' di pubblicità da questa importante manifestazione. Molte sono opere inedite di autori già solidamente radicati come l'ultimo Eco o l'ultimo Tabucchi. Altri hanno puntato sui "giovani", Ammaniti o Ballestra. Non si può escludere che le scelte siano state anche (come dire?) "pilotate" dalle cifre di vendita in Italia: l'edizione non è una scienza esatta, sennò saremmo tutti milionari, e tutto sommato c'è una notevole parte di rischio, una percentuale inquantificabile di fiuto, altro che criteri rigorosi».
Arrivano i noir, Lucarelli, Fois. "Liberation" ha celebrato i pulp. Saranno loro l'immagine della nuova letteratura italiana per i francesi?
«Sulla scuole dei gialli o neri che si voglia chiamarli, c'è una vera ondata, che ha completamente scavalcato Scerbanenco o F&L. Oramai sono pubblicati nelle famose collane "Série Noire" o "Fleuve noir", come da case editrici non particolarmente specializzate, e si tratta di diverse decine di titoli all'anno. Ci sono praticamente tutti. Ma non credo che né loro né i "cannibali" possano far dimenticare gli autori di cui parlavo prima».
Lei sta traducendo Sciascia, curando l’opera omnia da Fayard. Cosa rende ancora viva e vitale la lettura dei suoi libri in Francia?
«Le sue domande, le sue interrogazioni vanno ben oltre le occasioni contingenti che le hanno suscitate, costringendo il lettore a dare ognuno per conto proprio le sue risposte. E’ il segno distintivo dei grandi moralisti e non dei professori di morale».
Renato Minore