«Montalbano sono!». Così si presenta al telefono
il più celebre sbirro d'Italia: posponendo il verbo all'uso del
Sud. È l'erede nostrano dei vari Maigret, del tenente Sheridan,
di Rex Stout, Nero Wolfe, Philo Vance, Hercule Poirot. Il suo nome, molto
siculo, vuole anche essere un omaggio allo spagnolo Manuel Vázquez
Montalbán, inventore di un altro celebre detective, Pepe Carvalho.
Ottimamente impersonato nella serie tv da Luca Zingaretti, Montalbano
non ama entrare in scena con la pistola in pugno e gli inseguimenti non
sono la sua specialità. Cinquantenne, ruvido, umorale, sanguigno,
ha un brutto carattere ed è perfino meteoropatico. Non ha il fisico
di James Bond, né l'aplomb di Sherlock Holmes. In compenso è
un raffinato gourmet o forse sarebbe meglio dire un inguaribile goloso.
Il suo riposo del guerriero non si consuma nel letto di qualche avventuriera,
ma al tavolo di una trattoria in riva al mare.
Per un piatto di triglie, una spigola o gli spaghetti al nero di seppia
sarebbe disposto a tutto. Insomma, è un tipico eroe in grigio che
piace ai ceti medi, di cui condivide molti valori: è un moralista
e sa ancora scandalizzarsi; ha lo spirito del giustiziere e serve lo Stato,
ma all'occorrenza non esita a ricorrere alle scorciatoie; detesta viaggiare
e rinuncia a fare carriera per non doversi staccare dal paese. Come tutti
gli uomini del Sud crede nella famiglia, anche se resta un single di ferro,
tuttavia inguaribilmente fedele a Livia, l'eterna fidanzata ligure.
Dispotico con i collaboratori, insofferente verso i superiori, più
che con il gelido calcolo, i casi li risolve con l'intuito e con il sentimento.
Il suo cuore batte a sinistra ed è un raffinato estimatore di musica
e pittura. Appassionato di libri, legge Le Carré, «il pòviro
Bufalino», Sciascia, perfino Faust. Ma qui i confini tra l'autore
e il suo personaggio si fanno meno netti, tanto che Camilleri potrebbe
a ragione esclamare: «Montalbano c'est moi». Anzi: «Montalbano
sono!».
Franco Brevini