Non c'è due senza tre. Raramente il proverbio è menzognero
e nel caso di Camilleri è infallibile. Come annunciato, è
già in libreria la confezione Mondadori che contiene un libro di
109 pagine e due cd audio di 150 minuti, in cui lo scrittore siciliano,
con voce bene impostata, legge sette racconti compresi in Un mese con Montalbano
e Gli arancini di Montalbano). Oltre ai sette racconti, il libro contiene
una lunga conversazione tra Andrea Camilleri, Renata Colorni e Antonio
Franchini sul tema Salvo Montalbano, in cui lo scrittore spiega com'è
nato il famoso commissario che non ha alcuna parentela con Pepe Carvalho,
il detective creato dallo spagnolo Vázquez Montalbán, se
non quella del cognome che, fra l'altro, è diffusissimo in Sicilia.
«Quando ho cominciato a scrivere libri gialli – confessa Camilleri
– è chiaro che non ero uno sprovveduto. Cioè a dire, gialli
prima di allora non n'avevo scritti, però come lettore avevo un
lungo elenco di benemerenze che risaliva alla mia infanzia. E avevo gusti
molto precisi. Per esempio, Sherlock Holmes non mi piaceva, perché
non mi piaceva il metodo scientifico, non mi piaceva quel giochetto, quel
meccanismo privo di vere motivazioni, senza una vera società attorno».
A spingerlo sulla via del romanzo poliziesco, è stata anche la nota
affermazione di Sciascia secondo cui la «gabbia del giallo è
un esercizio salutare e utilissimo per lo scrittore, perché lo obbliga,
lo costringe a giocare col lettore ad armi pari».
Montalbano è diventato con gli anni, libro dopo libro, un personaggio
che di fittizio ormai ha ben poco. O nulla. La sua anticonvenzionalità,
ma soprattutto la sua umanità ha qualcosa di vissuto, d'autentico.
Doti che erano del padre di Camilleri, e che lui quasi inconsciamente riproduce
nei suoi libri. È stata la moglie a farglielo notare: «Stai
scrivendo una lunga biografia di tuo padre attraverso Montalbano».
Ecco così svelato il mistero di tanto carisma.
«Mio padre – scrive Camilleri – era un uomo d'enorme coraggio
fisico, una qualità che gli ho sempre invidiato. Una volta eravamo
andati a caccia io e lui in un luogo perso... quando a un certo punto sbucò
uno da un cespuglio e ci intimò mani in alto». Il disgraziato
gli prese i fucili, ma il padre dello scrittore con una mossa abile lo
bloccò e si riprese le armi, umiliandolo con un solo guizzo. Questo
fatto chiarisce la piena assimilazione del personaggio allo scrittore che
opera su una traccia umana di grande pienezza morale, istintiva, forte
e nitida. Ritraendo il padre nel suo commissario, Camilleri compie una
sorta di associazione cosciente, conferendo all'uomo della finzione gli
scatti di una realtà estrapolata dalla memoria in cui è riposta
l'icona di un affetto immutato. In questa operazione rituale, le funzioni
della vita acquistano una loro precisa materialità eludendo il sogno
e la letteratura, per stamparsi nell'elogio del bene e del male come intuizioni
rappresentative d'una filosofia modesta nelle espressioni, ma capitale
nella concezione.
Sta in queste variabili anche la lettura-recitazione di Camilleri.
Gli scarti dialettali acquistano nella sua dizione il suono di una lingua
antica che è espressione fonetica, ma anche motivazione ancestrale
dei sentimenti e delle origini. Nei due cd lo scrittore forse parla con
la cadenza della voce del padre, per rendere più seducente l'ascolto
a se stesso. Piccoli segreti di un grande successo che adesso ci raggiunge
anche con la voce dell'autore, il quale sigla storie di tutti i giorni
ed espone la valenza degli uomini della terra di Sicilia, impersonati da
un uomo dal destino universale scolpito nell’«estrema fedeltà»
alla sua donna, alla vita e al dovere.
Francesco Mannoni