PAVIA. Non fosse morto - in silenzio, quasi dimenticato - dodici anni
fa in Svizzera, dove si era trasferito nel Dopoguerra dalla natia Sicilia,
a Franco Cannarozzo (1921-1990) sarebbe stato interessante chiedere come
mai avesse scelto Pavia e le sue campagne per ambientare uno dei suoi romanzi
uscito negli anni '70 tra i Gialli Mondadori e ritornato in libreria da
qualche settimana nell'elegante veste di Sellerio. Si chiama «L'occhio
lungo» e la firma è di Franco Enna, uno degli pseudonimi usati
da Cannarozzo per la sua imponente produzione letteraria. Un autore minore,
dalla penna facile e la passione per il racconto, che scriveva a raffica
come un piccolo Simenon e che usava anche «alias» americani
per firmare i suoi gialli, ma che oggi è interessante recuperare
alla luce degli exploit del suo conterraneo Camilleri. Perchè fu
Cannarozzo-Enna a iniziare un filone inedito, quello del giallo con ambientazione
provinciale, prima che arrivasse Montalbano e demolisse ogni record e ogni
pregiudizio. Fu lui ad affidare inchieste nostrane a commissari nostrani,
lontani dagli americanismi letterari e pregni di una «normalità»
quasi spiazzante rispetto a certi standard. Salvo poi - per poterli degnamente
piazzare tra i Gialli Mondadori - doversi inventare una trentina di nomi
stranieri e firmare storie più vicine ai gusti del momento e a un
mercato che ancora non concepiva il giallo provinciale. Chissà,
forse nato una ventina d'anni più tardi...
Protagonista de «L'occhio lungo» è Fefè Sartori,
commissario di polizia (che compare in altre quattro opere di Cannarozzo-Enna)
trasferito da Roma a Milano per sostituire un collega malato. E a Milano
Sartori si trova a gestire (siamo alla fine degli anni 70) le indagini
su cinque sequestri di persona. Su una di queste lavora personalmente e
sarà la scatola di un accendino a portarlo a Pavia, dando corpo
(e numerosi colpi di scena) alle sue ricerche. Nelle pagine di questo giallo
- pur con qualche piccola incongruenza - ci sono luoghi di Pavia descritti
anche minuziosamente. Il commissario ci arriva in treno la prima volta
per andare in una gioielleria di corso Mazzini, alla ricerca del misterioso
acquirente di quell'accendino. Faranno capolino qua e là nel racconto
l'Università, la questura, piazza Leonardo da Vinci, via Spallanzani,
piazza della Posta, viale della Libertà, il Ticino... E la storia
vedrà alcuni passaggi-chiave anche in un villino vicino a Bereguardo,
di proprietà di un ristoratore di Stradella il cui raconto proprio
non convince il commissario. Pur soffrendo di qualche stereotipo (il solito
maresciallo servizievole, le solite folgoranti intuizioni...), «L'occhio
lungo» si legge bene, ha una trama accattivante e merita un po' di
attenzione. Non fosse altro per la curiosità di vedere come un pre-Camilleri
abbia calato a Pavia un giallone dai tanti intrecci.
r.t.