Senza dubbio uno dei generi letterari più apprezzati dai lettori
durante il periodo estivo è il genere giallo. Nomi illustri come
Agatha Christie, George Simenon, Stephen King, Ellery Queen (solo per citare
quelli universalmente più noti) campeggiano sulle copertine di un
numero spropositato di libri e allietano i rilassati ospiti di spiagge,
alberghi e pensioni vacanza. Il "giallo" è ritenuto uno dei generi
di maggiore successo non solo d'estate, ma durante tutto l'anno; senza
dubbio, nel carente mercato editoriale, costituisce uno dei capisaldi più
accertati. Eppure per molto tempo i romanzi polizieschi sono stati tacciati
di scarsa letterarietà: al pari della letteratura sentimentale e
di quella fantascientifica, si catalogava il giallo come puro "genere d'intrattenimento".
Posizioni più moderate o quantomeno oculate sono state però
adottate dagli studiosi più moderni: uno per tutti può essere
Spinazzola. Egli sostiene la necessità di calibrare con enorme attenzione
il giudizio letterario, in nome dell'innegabile varietà dell'offerta,
e dunque verosimilmente della qualità. Per questo motivo, se certo
"giallo" è da ritenersi innegabilmente poco artistico (per ovvietà
degli esiti, per banalità dell'intreccio o della figura dell'investigatore),
è altrettanto certo che possono esistere altre proposte di scrittura,
in grado di contaminare il genere di largo consumo - nel nostro caso, il
poliziesco appunto - con tratti solitamente appartenenti a letteratura
più alta (ad esempio, digressioni filosofico-esistenziali, scorci
veristi, impliciti ma vibranti scandagli interiori, …). Le illuminanti
riflessioni di Spinazzola ci pongono dinnanzi ad un quesito: dobbiamo concludere
che il "giallo" sia mero genere d'intrattenimento o possiamo attribuirgli
il titolo di letteratura? La giusta risposta accetta entrambe le possibilità:
esistono infatti innumerevoli romanzi polizieschi e altrettanti scrittori
di "gialli", ma solo alcuni di essi paiono esser riusciti a nobilitare
il genere. In che modo? Già lo si è accennato sopra: sottraendo
il prodotto della loro arte ad esiti scontati e per questo mediocri, e
aggiungendo alla "gabbia" (come diceva Sciascia) tipica della struttura
del "giallo" una serie di atmosfere e suggestioni di stampo diverso. Non
si tratta però di pure elucubrazioni mentali! Il giallo infatti,
persino nella sua struttura base più banale, può farsi espressione
di un tratto filosofico-esistenziale molto profondo: la ricerca dell'assassino,
il tentativo di ritrovare il bandolo della matassa, fuor di metafora, altro
non rappresentano che l'attitudine più tipica dell'uomo: il porsi
delle domande. Esse possono essere di vario tipo: ci si può chiedere
cosa preferiamo mangiare a cena, perché il bus è in ritardo,
oppure ci si può domandare quale sia la nostra origine, se Dio esiste…
La nostra vita allora si può davvero leggere come un "giallo" in
fieri, poggiati come siamo su alcune assillanti domande: "cosa succederà
adesso?", "perché accadono certe cose?", … Ora, ritornando alla
base del discorso, occorre dire che taluni scrittori hanno compreso a pieno
questa natura filosofico-esistenziale del romanzo poliziesco e l'hanno
sottolineata con garbo. Senza cioè rinunciare alla struttura tradizionale
del "giallo", hanno arricchito i propri romanzi di una piacevole aura intellettuale,
che ha fatto degli stessi innegabili esempi di ottima letteratura. Se volessimo
fare qualche nome, (ma qui per semplicità mi limito a citare solo
pochissimi esempi) credo potremmo ricordare, tra gli altri, due scrittori
come Sciascia o Dürrenmatt. E' ovviamente ridondante il mio giudizio
su questi due autori (il primo forse a noi più noto, in quanto siciliano;
il secondo, svizzero): ovvio è che si tratta di due eccellenti scrittori,
attivi in vari settori, ma forse maggiormente noti per la loro attività
di giallisti. I loro romanzi costituiscono eloquenti esempi di quello che
qui stiamo cercando di definire come "giallo di qualità". Non per
nulla, ormai lontana la temperie culturale positivistica (che con evidenza
ancora influenzava i romanzi di Agatha Christie o di Arthur Conan Doyle,
fra gli altri), l'investigatore di Sciascia o di Dürrenmatt cessa
di essere delineato come figura eccezionale, invincibile e dotata di un'intelligenza
sopraffina, per tornare invece tra i mortali, tra gli uomini di tutti i
giorni, con i loro mali e con i loro problemi. Se volessimo citare due
esempi concreti, mi pare adeguato un riferimento a "Il cavaliere e la morte"
di Sciascia o a "Il giudice e il suo boia" di Dürrenmatt. Ebbene,
nei due romanzi la figura dei detectives viene delineata in modo tutt'altro
che eroico, e per di più, manca in entrambi l'happy ending (lieto
fine)! Infatti il protagonista del romanzo di Sciascia è affetto
dal cancro, è spesso dolorante a causa del suo male, ha il vizio
del fumo; nonostante una salute vacillante, egli risolve mirabilmente il
caso, ma subito dopo viene assassinato dai malavitosi. Un discorso simile
si può fare anche per "Il giudice e il suo boia": è vero
infatti che in questo testo l'investigatore non viene ucciso, ma è
altrettanto vero che egli è malato ed il romanzo si conclude con
il suo trasporto in ospedale, dopo la brillante risoluzione dell'ennesimo
caso. Che dire poi di Camilleri e del suo Salvo Montalbano? In questo caso
si fa palese il tratto "umano" del Commissario e delle sue indagini (si
pensi ad esempio all'eloquente titolo dell'ultimo volume della serie: "La
paura di Montalbano"). Ormai è lontanissima l'eloquenza del giallo
di matrice ottocentesca e primo-novecentesca e sono portati agli estremi
i risvolti di Sciascia (innegabile punto di riferimento dell'eccellente
Camilleri). Credo sia ora più chiaro ciò che si è
detto poc'anzi, nel tentativo di delineare le caratteristiche del così
detto "giallo di qualità": come dimostrano gli esempi, ciò
che viene a mancare non è l'intreccio tradizionale del "giallo",
la struttura portante rimane infatti intatta; a mutare sono invece una
serie di piccoli elementi (come ad esempio la figura dell'investigatore)
che, considerati uno per uno, e poi inseriti debitamente nell'insieme,
donano al testo uno spessore tutto nuovo, "esistenziale", come già
si è detto. Il romanzo cessa cioè di essere un semplice racconto
e diventa qualcosa di più: forse una nuova occasione di riflessione
sull'uomo e sulla sua esistenza.
Salvatore Mortilla