Messaggero
Veneto, 3.2.2002
Intellettuali a confronto con i giudici
Passi significativi estratti dai dialoghi Tabucchi-Borrelli, Lucarelli-Di
Pietro, Ferrara-Davigo, Bettin-Colombo, Camilleri-Del Ponte
A dare corpo a questo numero monografico di MicroMega sono soprattutto
i grandi dialoghi su Mani Pulite, sei dialoghi densi e ponderosi che non
possiamo certamente riassumere, ma dei quali ci sembra opportuno offrirvi
alcune battute, in attesa che possiate apprezzarli nella loro interezza
e complessità.
Particolarmente ponderoso è Sulla giustizia e dintorni in cui
Antonio Tabucchi dialoga con Francesco Saverio Borrelli.
Tabucchi: La classe politica attualmente al governo sta chiaramente
processando la magistratura. Paradossalmente fa ciò che voi dovreste
fare nei suoi confronti, secondo ciò che lo storico letterario Bachtin,
riferendosi al momento "eversivo" di certe feste popolari che scandiscono
il calendario gregoriano come il Carnevale, ha definito "il mondo all'incontrario".
Fra l'altro, il luogo in cui la magistratura è processata è
il luogo deputato alla manifestazione carnevalesca, cioè la piazza,
che da una parte è quella reale e dall'altra quella di formato più
piccolo ma certo più efficace che è lo schermo televisivo.
I processi che si fanno in piazza, come sappiamo, sono processi sommari,
prescindono da prove, da documenti, da giudizi obiettivi, sono eccitati
da dei capopopolo e dalla folla inferocita. Il processo di piazza
equivale di solito al linciaggio. Mi piacerebbe sentire le sue considerazioni
su tutto questo.
Borrelli: Questo è vero, che c'è stato un capovolgimento,
e ora è la classe politica che vuole entrare nel merito dei processi,
sostituirsi ai giudici e addirittura processare la magistratura. Direi
che è un po' come sparare sulla Croce Rossa, voglio dire che è
facile, un compito facile. Forse in Italia la magistratura non è
mai stata particolarmente popolare, forse in nessuna parte del mondo, non
lo so, i giudici danno un po' fastidio. Ma in Italia da decenni, o forse
da sempre, si è parlato di crisi della giustizia, nel senso che
il "servizio giustizia" non risponde alla domanda di giustizia che viene
dalla collettività. Non risponde perché è lento, non
risponde perché certi meccanismi sono obsoleti, non risponde perché
a volte si intorcina dentro bizantinismi che la gente non capisce: per
tanti motivi. Certo che a far allungare
incredibilmente i processi sono talvolta proprio coloro che rivolgono
alla giustizia le critiche appena ricordate. Qualche volta faccio anche
delle considerazioni di ben più basso profilo, e dico: fra le persone
che vengono a contatto con la giustizia, quante escono soddisfatte? Se
lei pensa che nelle cause civili c'è perlomeno il 50 per cento di
persone che perdono una causa, e che quindi conservano rancore verso la
giustizia. Nell'altro 50 per cento, anche di quelli che hanno vinto c'è
una buona percentuale che ritiene di non aver vinto abbastanza o di non
aver avuto ragione abbastanza, o di aver dovuto sborsare troppi soldi all'avvocato.
Nella giustizia penale, poi, tutti indistintamente, quelli che vengono
toccati, che vengano assolti, o che vengano condannati, o che vengano chiamati
a rendere testimonianza, ce
l'hanno con la giustizia, per tutti i motivi che sappiamo. Come potremmo
aspettarci che l'atteggiamento generale verso il giudice sia di simpatia?
Carlo Lucarelli e Antonio Di Pietro in Dieci anni dopo ripercorrono
la storia di Mani Pulite.
Lucarelli: Visto che è il momento delle critiche, ce ne sono
alcune che sono state mosse all'inchiesta Mani Pulite storica. Quando ho
raccontato a mio fratello che gli uomini più potenti d'Italia stavano
andando in galera lui si è stupito tanto da non credermi. Ma quando
mi ha chiesto perché e io gli ho detto che era perché avevano
rubato, lui mi ha risposto: "Ah be', ma questo si sapeva". Si sapeva, si
diceva. Perché allora non cominciare prima del '92?
Di Pietro: Perché non era possibile. Bisogna sfatare un luogo
comune, anzi, bisogna sfatarne molti. Uno di questi è che Mani Pulite
sia stata una "guerra civile" posta in essere dai magistrati per sostituire
una classe politica con un'altra, non è vero. Non reinventiamo la
storia giudiziaria di questi ultimi dieci anni tratteggiando un film che
non è mai stato realizzato. Ci sono stati pacchi interi di sentenze
di condanna, spesso confessate e patteggiate che dimostrano che la genesi
di Mani Pulite non è stato un teorema inventato dai giudici, ma
l'amara constatazione di una realtà politica e imprenditoriale corrotta
e corruttrice.
Violenta è la contrapposizione tra Piercamillo Davigo e Giuliano
Ferrara in Obbedire ai potenti?, in cui si confrontano duo opposte visioni
della giustizia.
Ferrara: Parlo proprio di scontro magistratura-politica. Voi secondo
me avreste fatto lo stesso se al potere c'era D'Alema anziché Berlusconi.
Davigo: Questa è già una bella affermazione, da parte
sua.
Ferrara: Certo. Ma non è una bella affermazione: ne sono convintissimo.
Infatti D'Alema è vostro nemico quanto Berlusconi, solo che cerca
maldestramente di usarvi da molti anni…
Davigo: L'assunto da cui parto invece io, e al quale sembra che lei
sia insensibile, è se questi reati siano stati commessi oppure no.
Perché questa è l'unica obiezione che ci si dovrebbe poter
attendere: voi avete proceduto per fatti non veri. Ora la tragedia, per
l'Italia, è che tutti quei fatti sono avvenuti davvero (poi, come
per un omicidio, si può sostenere che è stato commesso non
da quell'imputato ma da un altro, ma che ci sia stato l'omicidio non è
controverso). Che siano state pagate le tangenti non lo ha mai negato nessuno.
Che persino nelle vicende che riguardano l'attuale presidente del Consiglio
(la vicenda della guardia di finanza) fossero state pagate delle tangenti,
che si trattasse di corruzione, nessuno lo nega più, non è
oggetto di discussione. Non ci siamo inventati niente, quindi. Per carità,
anche noi possiamo aver sbagliato, non soltanto siamo fallibili come tutti
gli esseri umani, ma il lavoro giudiziario è in assoluto, fra le
attività umane, uno di quelli a più alto rischio di errori.
Un dialogo di grande interesse è quello tra Gianfranco Bettin
e Omid Firouszi da una parte e Gherardo Colombo dall’altra in cui due no-global
e un magistrato parlano del Vizio della giustizia.
Omid: Un tema sul quale stiamo riflettendo, anche dopo Genova e dentro
questa mobilitazione sulla riforma scolastica, e nell'ambito di quella
che noi chiamiamo "disobbedienza" (alle imposizioni e all'ideologia del
pensiero unico, del mercato, dell'ordine che ne conseguirebbe), è
quello del nesso tra libertà e approccio globale.
Colombo: Sarebbe anche interessante ragionare sul nesso tra libertà
e regole. Facendo un esempio banale: io sono libero, camminando per la
città, di attraversare sulle strisce pedonali, perché esiste
una regola secondo la quale gli automobilisti si devono fermare quando
passo. Se questi infrangono la regola, violano la mia libertà. Libertà
e regole procedono insieme, insomma. In un senso generale, val la pena
di riflettere sul fatto che addirittura per poter dialogare, come facciamo
adesso, e capirci, scambiarci informazioni e punti di vista, dobbiamo seguire
delle regole, come quella di usare lo stesso idioma.
Bettin: Com’è possibile recuperare memoria?
Colombo: Bisogna contare molto su se stessi, comunque. Un ragazzo oggi
- gli adulti sono già formati - ha questo compito difficile ma stimolante
di costruirsi da sé, di impegnarsi per questo in una ricerca. Di
sperimentare, anche. Bisogna avere questo gusto. Bisognerebbe mettere sul
piano intellettuale la stessa spinta, la stessa energia che mettiamo nella
ricerca e nella sperimentazione sul piano delle esperienze concrete, fisiche.
Tra stupore e indignazione, infine, si snoda il dialogo La realtà
oltre la fantasia tra Andrea Camilleri e Carla Del Ponte.
MicroMega: Le chiedo come va considerato un reato come il riciclaggio
legato alla corruzione, perché per riciclare bisogna falsificare
i bilanci, corrompere, e queste cose sono poi connesse al traffico d'armi…
Insomma, certi reati, corruzione, riciclaggio, devono essere considerati
gravi o dobbiamo cominciare a considerarli di secondaria importanza, secondo
quello che ricordava Camilleri?
Del Ponte: Sicuramente sono reati gravissimi, tanto è vero che
abbiamo delle convenzioni europee contro il crimine organizzato, anche
perché il reato commesso in uno Stato non è che si ferma
ai confini di quello Stato. Sappiamo benissimo che per poter condurre un'inchiesta
si deve far capo a numerose altre autorità di altri Stati, per cui
l'Italia non può certo tenersene fuori e dire: noi no, noi abbiamo
un'altra concezione e quindi noi non…
Camilleri: Tenersene fuori formalmente forse no, ma nella sostanza
potrà mettere in atto tutta una serie di dilazioni, di rimandi…
Cosa è successo a Laeken? Che l'Italia ha aderito al mandato di
cattura internazionale, ma lo metterà in atto, se potrà,
a partire dal 2004, fino ad allora varranno le vecchie regole italiane.
Anzi le nuove. Le complicazioni sulle rogatorie, il falso in bilancio,
la legge sul rientro dei capitali… C'è il rischio di diventare una
sorta di paradiso giudiziario, allo stesso modo che ci sono i paradisi
fiscali. E torno a chiedermi: che avverrà fino al 2004? Ci sarà
un'Europa a due marce per quanto riguarda certi reati e i provvedimenti
per reprimerli?
Del Ponte: Io credo che l'Europa andrà avanti e allora penso
che l'Italia non potrà restar fuori. Ci sarà un ritardo nell'adeguamento,
nella partecipazione. La questione rogatorie naturalmente io la conosco
bene perché ho partecipato a mettere in piedi questo trattato bilaterale
proprio per accelerare, per rendere più efficace il tutto, per snellire
la collaborazione… e naturalmente sono rimasta… Intanto mi ricordo che
ad ogni occasione possibile dicevo: Come mai non c'è la ratifica
di questo trattato? Io ero già via da Berna e ancora già
col governo che c'era prima… e poi dopo, improvvisamente…