Il commissario c’è, ma non è Montalbano. Si chiama Cecè
Collura ed è un suo amico e collega. Ferito durante un’operazione,
Collura va in crociera per passare la convalescenza in tranquillità.
E così, a bordo di una nave, cominciano le nuove avventure del «Commissario
di bordo» che vedono protagonista Cecè. Otto brevi gialli
«estivi», pubblicati sulla «Stampa» di Torino,
firmati Andrea Camilleri, diventano ora la base della trama di quattro
opere liriche. La prima, «Il fantasma di bordo», debutterà
il 13 dicembre al Donizetti di Bergamo. La seconda, che unisce il testo
del «Finto cantante» e «Che fine ha fatto la piccola
Irene» si vedrà a Siena nel luglio del 2003, grazie all’Accademia
Chigiana, ma altre istuzioni musicali sono interessate.
Le altre due opere che completano la tetralogia non hanno ancora un
teatro committente, ma Marco Betta, autore delle musiche, e Rocco Mortelliti,
autore del libretto, non disperano di vendere presto il loro progetto,
che prima di nascere è già un successo, anche senza Montalbano,
che apparirà solo alla fine della quarta opera per riaccompagnare
Collura in commissariato.
«Il fantasma di bordo», forte anche di un cast capeggiato
da Vincenzo La Scola, Katia Ricciarelli, Denia Mazzola e Luciana Serra,
dopo il debutto lombardo è già nel cartellone di altri sette
teatri: Catania, Modena, Messina, Lucca, Lecce, Ravenna e Roma.
Un vero record per un’opera mai vista prima. Ma anche una scommessa
che, forte del nome di Camilleri, potrebbe aprire nuove porte e portare
nuovo pubblico alla lirica in tempi di magra come quelli attuali.
«Neppure noi ci aspettavamo un successo del genere», nota
Betta, già direttore artistico del Massimo di Palermo. «Forse
- aggiunge - il successo è dovuto anche al fatto che si tratta di
un allestimento da camera, a basso costo, con un organico orchestrale molto
flessibile. Io la definisco “opera in un baule” perché non ha bisogno
di costi ossessionanti per essere messa in scena, né ci sono grosse
complicazioni dal punto di vista scenografico».
I gialli si svolgono a bordo di una nave, anche se - precisa Mortelliti
- «non ci sono né morti, né cadaveri» perché
i racconti sono «leggeri, estivi», diversi da un romanzo che
sarebbe stato difficile riversare nei limiti di un’opera lirica. Il nostro
commissario Collura è chiamato solo a risolvere quei piccoli problemi
che possono capitare davvero a bordo di una nave.
Per esempio? «Qui - spiega Mortelliti - nel “Fantasma della cabina”,
siamo alle prese con una signora che denuncia di aver visto un fantasma
e mena subbuglio tra i passeggeri. Si scoprirà che la donna è
un’attrice mandata apposta da una compagnia rivale per screditare la nave.
Anche se nell’originale di Camileri non c’è, l’argomento mi serve
da spunto per indagare sul mondo degli attori falliti, magari anche molto
bravi, ma che non hanno avuto fortuna nella loro carriera».
Il rapporto tra Mortelliti e il papà di Montalbano è
molto stretto non solo perché il librettista ne ha sposato una figlia.
Si conoscono da vent’anni, l’uno docente l’altro allievo all’Accademia
d’arte drammatica, insieme hanno spesso collaborato in teatro, al cinema,
in tv. «In effetti - spiega Mortelliti - è sempre come la
prima volta, Andrea lancia un’idea, io la sviluppo». Questa volta,
però, l’autore del libretto firmerà anche la regia dello
spettacolo, «così non dovrò discutere con il librettista
ma solo con me stesso».
Discussioni, ma pacate e costruttive, Mortelliti le ha avute con Marco
Betta. Insieme hanno deciso la scansione delle scene e tutti i dettagli
della nuova opera. «Molto spesso - spiega il compositore siciliano
- le arie si intrecciano con i dialoghi, il ritmo è serrato, dei
tempi d’oggi, consono a quello impresso da Camilleri nella sua letteratura.
Altre volte ci sono parti recitate con la musica che scorre in sincrono,
come in un film. Spesso mi inserisco con la musica nelle pause e le emozioni
diventano linee melodiche».
Ma, visto che il progetto prevede la realizzazione di quattro opere,
c’è anche una linea melodica che le accomuna? «Certo - risponde
Betta - ho pensato a un leit motiv di stampo wagneriano. L’idea è
un po’ antica ma dà il senso del ritmo teatrale, la temperatura
emozionale di quello che avviene in scena. E poi siamo di fronte a un’opera
che parte dalla tradizione lirica per sposare la scrittura contemporanea,
il testo è ricco di suggestioni indissolubili dalla musica, che
è sorella di altre arti».
Donatella Longobardi