Ormai ci è diventato familiare quel modo di presentarsi, tra
il timido e il ruvido: «Montalbano sono». Ormai ci siamo abituati,
al piacere di riconoscere le abitudini, le debolezze e le passioni di questo
poliziotto atipico forgiato dalla penna di Andrea Camilleri e splendidamente
interpretato da Luca Zingaretti (siciliano honoris causa, dopo aver fatto
un corso di dizione alla rovescia per assumere l´accento dell´isola).
Anche ieri sera, assistendo su RaiUno a "Il senso del tatto" - il primo
dei quattro episodi della nuova serie - molti italiani forse hanno avuto
la sensazione di rivedere un vecchio amico, di ritrovare un luogo conosciuto,
di respirare un´aria di casa. Merito dello scrittore, certo, ma anche
del regista Alberto Sironi che ogni volta riesce a tradurre sullo schermo
il codice della sicilianità camilleresca. E spingendoci a domandarci,
ancora una volta, quanto sia profondo l´abisso che separa le due
Sicilie televisive: quella di Montalbano e quella della Piovra.
Perché si tratta di due mondi diversi, se non opposti. La Sicilia
della Piovra è nevrotica, manichea e violenta: è il luogo
della sfida tra il Male e il Bene, una corda sempre tesa, un mondo dove
tutto è bianco o nero (e il grigio è solo una sfumatura del
nero, come il sospetto è l´anticamera della verità).
La Sicilia di Montalbano è invece più contorta e profonda,
ma anche più solare e umana, un luogo dove il tempo scorre lento
attorno a un commissario che sfotte il questore e magari per la notte di
San Silvestro preferisce dividere gli arancini di Vigàta con un
ladro anziché ordinare ostriche a Parigi con la fidanzata. Certo,
tra le due fiction c´è la stessa differenza che passa tra
la mafia dei colletti bianchi e l´omicida solitario, tra una strage
e un delitto di paese, eppure le inchieste poco ortodosse del commissario
riescono a mostrarci - tra le pietre di Montelusa e il mare di Vigàta
– il volto umano, a volte terribile ma sempre autentico, di una Sicilia
dalle mille facce, dove un cieco può diventare corriere della droga
per aiutare la sorella a pagare i debiti, e magari essere ucciso da un
finto benefattore, ma dove la vita obbedisce alle stesse leggi di qualunque
altro angolo del mondo.
Il male a fin di bene, dunque, ma anche il Male mascherato da Bene,
in un intreccio nel quale alla fine la psicologia dei personaggi ha la
meglio perfino sulla trama del giallo, portando in primo piano i volti
di Katharina Bohm (la fidanzata di Montalbano), di Cesare Bocci (il vicecommissario
Mimì Augello), di Peppino Mazzotta (l´ispettore Fazio) e di
Angelo Russo (l´agente Catarella «personalmente di pirsona»).
L´unica, imperdonabile, pecca della serie – meritevole di un´inchiesta
del commissario Montalbano - è che gli episodi siano solo quattro.
Un delitto.