La Repubblica, 29.10.2002
La complicata Sicilia di Montalbano

Ormai ci è diventato familiare quel modo di presentarsi, tra il timido e il ruvido: «Montalbano sono». Ormai ci siamo abituati, al piacere di riconoscere le abitudini, le debolezze e le passioni di questo poliziotto atipico forgiato dalla penna di Andrea Camilleri e splendidamente interpretato da Luca Zingaretti (siciliano honoris causa, dopo aver fatto un corso di dizione alla rovescia per assumere l´accento dell´isola). Anche ieri sera, assistendo su RaiUno a "Il senso del tatto" - il primo dei quattro episodi della nuova serie - molti italiani forse hanno avuto la sensazione di rivedere un vecchio amico, di ritrovare un luogo conosciuto, di respirare un´aria di casa. Merito dello scrittore, certo, ma anche del regista Alberto Sironi che ogni volta riesce a tradurre sullo schermo il codice della sicilianità camilleresca. E spingendoci a domandarci, ancora una volta, quanto sia profondo l´abisso che separa le due Sicilie televisive: quella di Montalbano e quella della Piovra.
Perché si tratta di due mondi diversi, se non opposti. La Sicilia della Piovra è nevrotica, manichea e violenta: è il luogo della sfida tra il Male e il Bene, una corda sempre tesa, un mondo dove tutto è bianco o nero (e il grigio è solo una sfumatura del nero, come il sospetto è l´anticamera della verità). La Sicilia di Montalbano è invece più contorta e profonda, ma anche più solare e umana, un luogo dove il tempo scorre lento attorno a un commissario che sfotte il questore e magari per la notte di San Silvestro preferisce dividere gli arancini di Vigàta con un ladro anziché ordinare ostriche a Parigi con la fidanzata. Certo, tra le due fiction c´è la stessa differenza che passa tra la mafia dei colletti bianchi e l´omicida solitario, tra una strage e un delitto di paese, eppure le inchieste poco ortodosse del commissario riescono a mostrarci - tra le pietre di Montelusa e il mare di Vigàta – il volto umano, a volte terribile ma sempre autentico, di una Sicilia dalle mille facce, dove un cieco può diventare corriere della droga per aiutare la sorella a pagare i debiti, e magari essere ucciso da un finto benefattore, ma dove la vita obbedisce alle stesse leggi di qualunque altro angolo del mondo.
Il male a fin di bene, dunque, ma anche il Male mascherato da Bene, in un intreccio nel quale alla fine la psicologia dei personaggi ha la meglio perfino sulla trama del giallo, portando in primo piano i volti di Katharina Bohm (la fidanzata di Montalbano), di Cesare Bocci (il vicecommissario Mimì Augello), di Peppino Mazzotta (l´ispettore Fazio) e di Angelo Russo (l´agente Catarella «personalmente di pirsona»). L´unica, imperdonabile, pecca della serie – meritevole di un´inchiesta del commissario Montalbano - è che gli episodi siano solo quattro. Un delitto.