Il Giorno, 12.12.2002
«C'è già musica in Camilleri»

BERGAMO — Camilleri va a teatro, da protagonista: domani, al teatro Donizetti, debutta «Il fantasma nella cabina», primo degli otto racconti della serie «Il commissario di bordo» destinati a diventare una tetralogia «lirica». E' un debutto in musica, per il narratore di maggior successo degli ultimi anni, grazie al libretto di Rocco Mortelliti, già suo collaboratore nel progetto «La strategia della maschera», e soprattutto di un uomo della sua terra: Marco Betta, compositore siciliano trentottenne, appena «sceso» dalla direzione artistica del Teatro Massimo di Palermo, che ha guidato dal 1994 con grande apertura di idee.
L'opera che debutta a Bergamo (domani alle 20.30, domenica alle 15.30, poi a Modena il 18 dicembre, a Lucca in gennaio, a Messina in febbraio, poi a Roma, Lecce e Catania) è ambientata su una nave da crociera dove il collaboratore di Montalbano, Cecè Collura (il tenore Vincenzo La Scola), in convalescenza dopo una ferita, viene coinvolto in una indagine da una signora che sostiene di aver visto nella sua cabina, appunto, un fantasma (cantano anche Katia Ricciarelli e Luciana Serra).
Betta, perchè Camilleri?
«E' una scelta che nasce nel 2001, quando Paolo Olmi mi commissionò per Ravenna "Magaria", favola per voce recitante e orchestra. Lì mi prese l'idea di portare in scena una delle inchieste del commissario Montalbano».
Musicalmente come? Privilegiando la melodia?
«Il problema non è la melodicità. Ho sempre pensato che l'opera lirica, come teatro di fusione delle arti, non possa fare a meno della grande tradizione italiana. Dall'altra parte, è necessario collegarsi a quel teatro musicale del '900 - mi riferisco a solo titolo d'esempio a Milhaud, al "Giro di vite» di Britten - che riflette il ritmo del nostro tempo. Quando scrivo non mi pongo problemi di linguaggio, ma di adeguatezza dei mezzi al pensiero che voglio esprimere. Non è dunque questione di melodia e di tonalità, ma di temperatura emozionale, di aderenza al testo».
Che cosa l'attrae verso Camilleri?
«Già come lettore sentivo in lui una scrittura molto musicale: un senso della parola, un ritmo, un movimento come dal centro alla periferia, con cui mi pareva interessante giocare in eco».
Come e dove proseguirà il progetto?
«Saranno otto gialli in quattro opere da camera: la prossima nel luglio 2003 all'Accademia Chigiana di Siena, un dittico, l'ultima di sicuro ancora a Bergamo».
Da ex direttore artistico, quanti teatri danno spazio all'opera contemporanea?
«Oggi debbo dire molti: a Roma si sono date opere di Scogna e Rendine, a Firenze ci sarà una prima di Vacchi, alla Scala di Tutino. No, non possiamo lamentare disattenzione: le istituzioni cominciano a capire che il teatro non si è fermato cent'anni fa».
Carlo Maria Cella