Alla fine si scopre che sono tutti portoghesi. Lui, lei, l'altra: il
commissario Cecé Collura, la signorina Meneghetti, la giornalista
Biroli. In crociera senza aver pagato il biglietto. E a Cecé va
doppiamente bene, perché all'ultimo trova pure la ganza con cui
festeggiare in cabina (anche lei senza biglietto).
Un pò senza ci sentiamo anche noi - senza preda, senza meta
- uscendo dal Donizetti, dopo Il fantasma della cabina di Marco Betta,
su libretto di Rocco Mortelliti, ispirato a un racconto di Camilleri. Prima
esecuzione a Bergamo - il "mondiale" in locandina è di buon auspicio,
ma suona un pò megalomane - e poi ricca tournée. Negli ultimi
tre mesi è stato tutto un pullulare di prime dei nostri: Ambrosini
alla Biennale, Sollima a Palermo, Francescono a Bruxelles, Guarnieri a
Venezia. Ora Betta. Mai come quest'anno l'autunno si è presentato
ricco di doni. Segno che l'opera si muove. Soprattutto si è smossa
certa caparbietà dei teatri nel torturare Turandot e Barbieri. Meglio
una novità di oggi che una copia sbiadita del grande repertorio.
Meglio un contemporaneo, pazienza se minore, dell'ennesima fatica di rispolverare
i minori del passato, serenamente dimenticati.
Betta ha un'idea furbetta: usare il Camilleri famoso, per una musica
di tutto riposo. (Scusate le rime, ma così era il libretto di Mortelliti,
scandito più che il sor Pampurio arcicontento, difficile da scrollare,
l'indomani). I momenti migliori li ritagliano alcuni ariosi, scopertamente
pucciniani, che Vincenzo La Scola porge tra il divertito e l'appassionato.
E' bravissimo il tenore, nel fare il siciliano, cioé se stesso.
Anche nell'inciampare nei parlati (ma non sentiva il suggeritore? Lo scandiva
tutta la sala). Katia Ricciarelli e Luciana Serra portano comunque la zampata
delle prime donne che sanno cos'è il palcoscenico. Ma si ammosciano
su canzoncine vuote. Su due personaggi così - l'attrice e la giornalista,
entrambe palesemente da rottamare - si vorrebbe una vocalità spiritosa,
ricca, caratterizzante. Invece la frusta bandiera dei neoromantici si ammaina
tristemente su filastrocche glassate. Mesti giri di note, guai una modulazione,
con piccola orchestra soft a lato. E' bellissimo invece, e davvero sprona
il ritmo narrativo, l'impianto scenico di Italo Grassi. Con continui spunti
che chiamano il musical: questo potrebbe essere l'approdo per Il fantasma
della cabina. Ma a patto di riscrivere da capo la partitura, intingendola
di bollicine frizzanti e scatenando il mortorio del palcoscenico.
Carla Moreni