La Repubblica, 15.12.2002
Al Teatro Donizetti di Bergamo "Il fantasma nella cabina", due atti di Marco Betta, regia di Rocco Mortelliti
Un'opera da discoteca nel siciliano di Camilleri
Vincenzo La Scola declama "minchia", la Ricciarelli interpreta una vecchia attrice. Nel gioco musicale del racconto "Il commissario Collura" si recita e si canticchia

Bergamo - Una catena mai vista di teatri d'opera (ben sette) si sono coalizzati per produrre Il fantasma nella cabina, due atti di Marco Betta tratti dal racconto di Camilleri Il commissario Collura. Se il protagonista fosse stato Montalbano di teatri coalizzati ne avremmo avuti di più: la potenza del traino. E certo lo spettacolo, al Donizetti di Bergamo, c'è: Cecé Collura è in crociera per rimettersi da una ferita e diventa commissario di bordo e come tale deve affrontare il caso. C'è un fantasma nella cabina di una vecchia attrice e semina il panico. I crocieristi sono terrorizzati, ma più ancora lo è il Comandante, che teme per il buon nome della compagnia. Tanto più in quanto tra gli ospiti c'è una petulante e temibilissima giornalista. In realtà non c'è nessun fantasma, è in atto invece il tentativo dell'attrice squattrinata di denigrare la compagnia in favore di una compagnia rivale. Le indagini non sono difficili e si svolgono tra turisti occupatissimi a seguire gli animatori in giochi, intrattenimenti e riunioni al bar rallegrate da un'intrattenitrice caterina.
Il libretto è servito da Rocco Mortelliti (anche regista e anche mimo: alla prima sostituito da Francesco Bellotto perché ammalato). Ma il gusto per i settenari e ottonari con rime facili, alla Capitan Cocoricò, denuncia subito il gioco. Sul gioco di Camilleri si buttano tutti, Betta, Mortelliti e anche i cantanti, ai quali non par vero di deporre coturni e parrucche e, una volta tanto, recitare e canticchiare senza troppi sforzi. Il gioco di Betta è scrivere non un'opera ma un divertissement che estenda il prediletto amato neoromantico al suo estremo, la canzonetta. La pulsione continua del basso è quella della canzone, l'arco melodico e l'impianto armonico elementari vengono, ancora, dalla canzone. E canzoni sono quelle che canta Giorgia (nome scelto non a caso), l'intrattenitrice canterina. Fare un'opera con le canzoni. Non nel modo sofisticato di Weill o Gershwin ma in quello proprio della discoteca: senza le complicazioni della techno e funk dei sofisticati cultori del genere. Vedere, insomma, quanto si può tirare la corda, se anche il semplicismo, oltre che la semplicità, abbia un senso. In definitiva dimostrare che si può ancora catturare pubblico anche all'opera. Ma se questa era l'ambizione di Betta bisogna dire che è mal posta, perché quando l'opera si appropria del linguaggio della musica leggera e rinuncia alle proprie prerogative non c'è bisogno di fare un'opera, basta fare musica leggera, ossia lasciare le cose come sono.
Ma non è il caso di prendere troppo sul serio un gioco. Al quale si sono prestati allegramente Vincenzo La Scola, felicissimo di recitare (anche molto bene) col suo accento siciliano e di declamare minchia di qua e minchia di là, Luciana Serra è la petulante giornalista, Katia Ricciarelli, bellissima nei panni della vecchia attrice, Paola Ghigo, la canterina, e Fabio Previati nella parte del Comandante. Esecuzione pulita di Aldo Sisillo con elementi dell'orchestra
Donizetti. L'allestimento di Italo Grassi è semplice e ingegnoso: pochi pannelli scorrevoli creano gli ambienti necessari. In questi Mortelliti svolge una regia vivace e divertita. Anche il pubblico si diverte. E se agli applausi si mescolavano alcune voci di dissenso è perché esistono sempre gli irriducibili, quelli che all'opera vogliono vedere e sentire l'opera. Insomma quelli che non stanno al gioco.
Michelangelo Zurletti