Il Tirreno, 3.3.2002
Il «caso Camilleri», critici a confronto
A Palermo il convegno su uno straordinario fenomeno letterario. Come i romanzi storici (e in dialetto siciliano) diventano best seller

ROMA. Nel solco del romanzo storico, tra l'impegno dell'intellettuale e la necessità di riflettere sul fenomeno Camilleri. Da qui, tre pareri, tre punti di vista di studiosi e giornalisti che saranno sviluppati nel corso di un convegno in programma a Palermo l'8 e il 9 marzo intitolato «Letteratura e storia. Il caso Camilleri». Nino Borsellino, docente dell'Università La Sapienza di Roma ritiene che il lavoro di Camilleri «prosegua nel solco del romanzo storico, con una variante magico-favolistica, la storia che sconfina quasi nell'antropologia, e uno studio che va sempre all'essenza delle condizioni dell'uomo».
Uno studio «non di stampo manzoniano anche se Manzoni è molto presente». Quello del romanzo storico non è l'unico solco nel quale si inserisce lo scrittore siciliano. Marcello Sorgi, direttore de «La Stampa» e autore del lungo colloquio proprio con Camilleri «La testa ci fa dire», ne sottolinea lo specifico impegno di intellettuale ricordando una annosa controversia proprio tra intellettuali siciliani: «Per alcuni l'impegno deve essere quello di occuparsi della realtà vicina, per altri questo non è vero. Camilleri, a ragione, sostiene la prima tesi, anche se è capitato vederlo prendere posizione; spesso viene tirato in mezzo». E rimanda agli esempi di Gentile e Pirandello, iscrittisi al Partito Fascista quando il declino del regime era già avanzato.
Paolo Mauri, responsabile delle pagine culturali de «La Repubblica», riconosce invece a Camilleri il merito di essere riuscito in «una operazione delicata: fare letteratura popolare con ingredienti colti, perchè lui è colto, manovrando in maniera da diventare popolare». Frena, invece, rimandando al futuro, su una valutazione complessiva dell'autore siciliano: «E' esploso tanto repentinamente che c'è stato poco tempo per riflettere criticamente; superato lo stordimento del fenomeno, che toglie un po' di acqua alla critica, potremo valutare con più calma».
Pareri difformi anche su «Il re di Girgenti», uno degli argomenti principali della due-giorni. Incasellato nella scia del romanzo storico, con la particolarità delle «notevoli varianti legati alla creatività anche teatrale di Camilleri», Borsellino tralascia Verga e De Roberto, per partire da «un repertorio di narrazioni con al centro la storia, che comincia con il '700 siciliano citando lo Sciascia de «Il consiglio di Egitto» e della controversia liparitana, il Fabrizio Salina di Tomasi di Lampedusa e, più recentemente, Bufalino e Consolo.
Per Sorgi «Il re di Girgenti» è «il libro più completo, quello al quale ha lavorato di più e più rispondente al carattere e alla indole di Camilleri». E puntualizza: «Al fondo del suo animo c'è uno spirito rivoluzionario». A chi gli fa notare che il finale del libro è tragico non si scompone: «E' normale per uno scrittore siciliano».
Tanta curiosità per Paolo Mauri che giudica il libro «non la cosa migliore» dello scrittore, «riuscita al settanta, all'ottanta per cento». Mauri fa un passo indietro e pone un punto interrogativo più generale: «La ragione per cui Camilleri usa il dialetto oggi, quando la rivoluzione linguistica ha portato l'italiano sulla bocca di tutti ed avviato il declino dei dialetti». Ma gli riconosce un merito importante: «E' riuscito dove altri non sono riusciti, a individuare un tratto di storia d'Italia degli ultimi anni» anche se «rappresenta una Sicilia che c'è e non c'è, forse quella di ieri, dell'altro ieri». Al convegno, organizzato dall'Università di Palermo, oltre a Borsellino, Mauri e Sorgi, interverranno alcuni dei traduttori dello scrittore, e, tra gli altri, Angelo Guglielmi, Salvatore Nigro e Gianni Riotta.