La Sicilia, 9.3.2002
La beatificazione di Camilleri

Si racconta che anni fa, quando lo sceneggiatore e regista televisivo Andrea Camilleri bussava alle porte delle case editrici, provocasse un fuggi fuggi generale, c'era persino chi saltava dalle finestre. Tutti evitavano come la peste quel siciliano che non solo aveva il vizio di scrivere, ma aveva anche la presunzione di usare un linguaggio infarcito di incomprensibili sicilianismi, con personaggi usciti dalla Sicilia più prevedibile... si narra anche che, rassegnato, abbia pubblicato qualche libro a sue spese...
Ora tutto è mutato, ciò che prima sembrava un difetto è diventato un pregio, ciò che disgustava delizia. E ieri nella prima delle due giornate dedicate al caso Camilleri, a Palazzo Steri a Palermo, si sono sprecate le iperboli per esaltare le virtù del creatore del commissario Montalbano.
Angelo Guglielmi ha paragonato Andrea Camilleri da Porto Empedocle a James Joyce da Dublino, uno dei padri della letteratura moderna, come se bastasse impastare dialetto siciliano e sintassi italiana per ricreare il flusso di coscienza, il libero gioco di associazioni linguistiche e lessicali di «Ulisse». Come se non ci fosse differenza tra Martoglio e lo scrittore irlandese.
Sergio Valzania, in un empito di commossa esaltazione, ha cominciato con Tucidide, poi è passato a Ranke, e infine è approdato a Manzoni. L'autore dei «Promessi sposi» ha fatto anche una figura meschinella, perché per tutta la vita ha riscritto lo stesso romanzo sforzandosi di adeguarlo alla parlata toscana, mentre Camilleri spazia liberamente dal siciliano all'italiano, dal genovese al romanesco, e di romanzi ne scrive uno o due l'anno, qualche volta, se si applica, anche di più.
Nulla attira gli adulatori più del successo. Le nuove leggende narrano di una casa editrice milanese che ha offerto a Camilleri, in cambio dell'esclusiva, un assegno in bianco. Ma lui no, resta fedele al primo amore, Sellerio, anche se si concede qualche avventura. Tanto nella società del consumo, il suo nome è un marchio di garanzia, può scrivere e vendere ciò che vuole. La sua firma vale milioni, lo sanno bene gli editori che se lo disputano. Ora che l'hanno beatificato, vale anche di più.
Salvatore Scalia