La Repubblica,
ed. di Palermo, 9.3.2002
Il convegno
Tutte le facce di Camilleri sotto la lente dei critici
Il maestro guarda con gli occhi sbavaluciati la Vucciria di Guttuso.
Si leva i capizzuna (redini, metafora di occhiali), stropiccia le occhiaie
e riguarda. Mentre esce gli sfugge un «mah». Quando gli chiediamo
di chiarire il significato di quell'espressione così risponde: «Mah,
e non solo in siciliano, vuol dire mah, cioè non mi persuado, non
capisco». U quatru lo lascia perplesso. Siamo nel trecentesco palazzo
Steri, già sede del tribunale dell'Inquisizione, Andrea Camilleri
sta prendendo un po' d'aria dopo un'eruzione di cinque ore di parole pronunciate
dai critici per celebrare la sua opera. In questa colata di elogi (estrema
beffa in un luogo dove si celebrava l'autodafé) però manca
qualche salutare camilleriano «mah» (ad esempio sulla ripetitività
della struttura narrativa, sulla iper produzione, sul suo compiacimento
per il pur apprezzabile impasto linguistico) che nulla avrebbe tolto alla
sua grandezza di scrittore ma molto avrebbe aggiunto.
Nella prima delle due giornate nel segno di Camilleri (oggi il convegno
si trasferisce alla facoltà di Lettere) il checkup della sua opera
non evidenzia alcun malessere. "Il caso Camilleri", come si intitola il
convegno organizzato dalla casa editrice Sellerio e dalla facoltà
di Lettere, quindi è già risolto (ma Montalbano continuerebbe
a indagare ancora) per essere consegnato alle patrie lettere. Il dibattito
comunque, per niente monocorde nelle articolazioni, è stato ricco
di suggestioni, riferimenti, analogie. Proviamo a coglierne gli aspetti
più interessanti.
La storia - Nonostante l'antico vezzo di Camilleri di non considerarsi
uno storico, più di un relatore ha sottolineato le grandi verità
storiche sviscerate dallo scrittore empedoclino.
Salvatore Lupo, storico di mestiere, arriva perfino all'abiura sostenendo
che la Storia non esiste ma esistono le storie e per la loro rivelazione
la letteratura è più vera di qualsiasi ricerca d'archivio.
E con un paio di esempi stende i suoi colleghi: la fantasia di un estremista
come Franchetti comunica la questione meridionale meglio di qualsiasi studio
serio o serioso sull'Ottocento. Così come il Risorgimento siciliano
di Romeo è pressoché muto se raffrontato alla sua rappresentazione
letteraria nel Gattopardo di don Fabrizio. Proprio l'erede di Giuseppe Tomasi, Gioacchino
Lanza, sottolinea la complessità dello sfondo
storico nei romanzi di Camilleri, tanto più vero quanto più
inventato, magari sulla scia di un input originario. Poi il musicologo
pesca nel suo blasone quando trova nel "Re di Girgenti", il cardinale Traina,
suo avo. Quest'opera a suo dire colma un vuoto di conoscenza sulla Sicilia
del Seicento, barocca, agiografica e distante. Ancora invenzione come verità.
Il barocchismo - È Salvatore Nigro a sostenere l'effluvio barocco
di Camilleri. Come se le parole, per dirla con il rettore Giuseppe Silvestri,
«immagazzinate in una diga per tutta una vita all'improvviso avessero
trovato una falla da cui fuoriescono copiose e inarrestabili». E
gli trova nobili progenitori; il più importante il Serafino Amabile
Guastella delle "Parità morali".
La lingua - Nigro parlando della lingua reinventata nell'impasto tra
dialetto e italiano, trova un precursore in Edoardo De Filippo traduttore
in un napoletano seicentesco della "Tempesta" scespiriana. L'americana
Jana VizmullerZocco rimarca la coesistenza, con pari dignità, di
siciliano, italiano e sprazzi di spagnolo. Un impasto pacifico e creativo.
Una nuova lingua che il lettore non sempre capisce ma sempre ne trova il
senso. Una via di salvezza contro una globalizzazione senz'anima che comincia
la sua aggressione proprio destrutturando le parole.
Montalbano - Per molti studiosi la forza del commissario di Vigata
sta nel suo non essere istituzionale. Nino Borsellino, Piero Dorfles e
Beppe Benvenuto puntano sull'anticonformismo di Montalbano, che va fino
in fondo a dispetto dei bavagli che le gerarchie vogliono mettergli. Mentre
Maigret indaga solo per il piacere di indagare, lo "sbirro" siculo lo fa
per arrivare alla verità, per restituire dignità a chi ha
sbattuto la testa contro i bastioni del potere. Costi quel che costi.
La sicilianità - Antonio Calabrò e il sardo Giuseppe
Marci provano a decifrare il concetto di identità. Che in Sicilia
assume più facce di un prisma. Come qualcuno ha scritto, un torinese
(milanese, trentino fate voi) ogni mattina si guarda allo specchio per
vedere se i capelli sono a posto, se l'aspetto è buono. Il siciliano,
invece, per vedere se si rassomiglia. In questa metafora ci sta tutto il
nostro narcisismo, la nostra inconcludenza.
Manzoni - Al dibattito prendono parte anche Nino Buttitta («Un
grande scrittore come Camilleri si riconosce dal linguaggio»), il
preside Giovanni Ruffino («Ridà dignità al dialetto
dopo che è stato in ostaggio della cultura mafiosa»). Infine,
Angelo Guglielmi lo paragona al rivoluzionario Joyce, mentre Ermanno Paccagnini
si diverte a ritrovare nell'opera di Camilleri le tantissime citazioni
manzoniane.
Tano Gullo