La Stampa, 10.3.2002
DUE GIORNI DI CONVEGNO ANALIZZANO A PALERMO IL «CASO LETTERARIO» DEGLI ULTIMI ANNI
«Si parla di questo fungo venuto fuori dal nulla: ma io vengo stampato dal `48, quando Ungaretti mi pubblicò tre poesie»
«Successo tardivo: come tutto nella mia vita»

PALERMO «DUE giornate che arrivano tardi, come tutto nella mia vita. Senza rimpianti». Con quest´annotazione Andrea Camilleri, ieri pomeriggio ha chiuso il convegno («Letteratura e storia. Il caso Camilleri») che gli hanno dedicato l'Università di Palermo, la casa editrice Sellerio e il Credem. Lo scrittore si è proposto ai presenti senza reticenze, con la disarmante franchezza di chi non ha scheletri nell´armadio. E, dopo una trentina di relazioni, fra cui quelle dei suoi traduttori, ha sfoderato l´arma dell´ironia, per nulla al mondo volendo rinunciare, neppure stavolta, alla sua «agrigentinità». Così nell'intervento finale (definito «Considerazioni a margine» dagli organizzatori) ha ricordato che uno dei relatori, Gioacchino Lanza Tomasi, soprintendente del San Carlo di Napoli e figlio adottivo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, aveva manifestato la propria difficoltà nel parlare di un autore che sta lì ad ascoltare, seduto in prima fila. «E mi ha chiamato salma. Bellissimo! Oggi, orrore, la salma parla. E a chi non sa se io sia una mezza calzetta o un grande dico che alla salma non interessa per niente». Non soltanto autore di best sellers, ma pure uomo di teatro che sa come conquistare la platea, Camilleri ha dato libero sfogo alla sua consueta sincerità e con un impeto d'orgoglio, che non era semplice vanità, ha rivendicato l´ultra cinquantennale milizia fra i letterati: «Si parla di questo fungo che negli ultimi tre anni viene fuori dal nulla. Ma, amici miei, è dal 1948 che stampo, che pubblico cose. Da quando un signore che si chiamava Giuseppe Ungaretti pubblicò tre mie poesie». Quindi la memoria sui primi scritti per il quotidiano L´Ora di Palermo e per l´Italia Socialista diretta da Aldo Garosci («Mandavo messaggi in bottiglia da Porto Empedocle...») e sui primi compagni del suo ormai lungo cammino («Pasolini aveva un anno più di me») con i quali fu premiato in Svizzera («Loro sfondarono subito, io dopo quarant´anni»). Nell'aula magna della Facoltà di lettere, dove il convegno si è chiuso, il professor Gianni Puglisi ha annunciato che l´Università di Milano conferirà a Camilleri all´inizio di maggio la laurea honoris causa in lingue e letterature straniere. Lo scrittore commenta: «Ringrazio per la laurea. È un risarcimento. Sono stato un pessimo studente e ora mi premiano». Appena, poi, un accenno all'impegno politico a sinistra che considera evidente nella sua scrittura. Il «caso Camilleri» nelle quattro sessioni di lavori, venerdì e ieri, ha visto un'analisi linguistica sull'ampio ricorso al dialetto siciliano e anche sulla tecnica del giallo. E se Angelo Guglielmi ha paragonato Camilleri a James Joyce, Marcello Sorgi, direttore della Stampa (coautore di La testa ci fa dire) l'ha descritto come un intellettuale «discontinuo rispetto a quanti sgomitano». Ha ricordato che Camilleri gli ha confidato di non esser fra quelli che chiamavano Leonardo Sciascia Nanà, per esibire l´intimità con lui. «Insomma non voleva apparire suo amico soltanto per occhio di mondo», ha osservato Sorgi.
Michela Sacco nella tavola rotonda conclusiva richiama l´interesse «sul trauma storico del Risorgimento tradito, comune in tanti intellettuali siciliani» e sulla zona grigia tra mafia e politica, ben presente nei testi di Camilleri dei quali rammenta il gioco dei sottintesi e «le indagini sulla ricerca di verità che nessuno vuole legalizzare, come diceva Sciascia». Camilleri ha citato Manzoni e I promessi sposi che ha confessato di aver odiato da studente e di aver letto tre volte da adulto, per poi trarne ispirazione. Anche il condirettore della Stampa, Gianni Riotta, fa riferimento a Manzoni, dando merito a Camilleri di una «complessa operazione linguistica e politica realizzata semplicemente con la macchina da scrivere, seguendo l'idea di una cultura democratica che viene dal Manzoni, fatta per i lettori e non per l´Accademia».
Antonio Ravidà