Süeddeutsche
Zeitung, 12.3.2002
Ferne Annäherungen
Leuchtkäfer
Das Sizilienbild in der Literatur
Viele sind als Reisende gekommen. Von B wie Bernard Berenson (Viaggio
in Sicilia 1992) über – natürlich – Johann Wolfgang Goethe (italienische
Reise 1830) bis V wie Gustave Vullier (La Sicilie, Impressions du présent
et du passé 1895). Alle haben sie sich ihr Bild von Sizilien gemacht,
in dem die Insel allerdings selten mehr war, als ein Kristallisationskern
für romantische und/oder sozialkritische Vorstellungen der Autoren.
Keine Insel erregt das Begehren, sich über sie zu artikulieren, stärker
als Sizilien. Goethe sagt, dass man ohne Sizilien gesehen zu haben, sich
keine Idee von Italien machen könne. „Sizilien ist der Schlüssel
zu allem.“
Aber der Dichterfürst ist mit dem Tempo einer japanischen Reisegruppe
durchs Land gehuscht. Was hat er gesehen und was gemeint? Dies versucht
der Berliner Germanist Peter Sprengel in seinem Werk „Sizilienbilder in
Goethes italienischer Reise“ zu enträtseln. Der Regensburger Romanist
H ermann H. Wetzelhat aus den Versuchen, Sizilien zu beschreiben, eine
Wissenschaft gemacht, die Imagologie, und dazu ein Buch mit dem Titel verfasst:
„Eigen- und Fremdbild Siziliens“.
Keiner, der über Sizilien schreibt, will sich mit Gedanken an
stille Auen oder immergrüne Haine zufrieden geben. Johann Gottfried Seume, d er wandernde
Dichter, mag alle Barone und Äbte „vor die Kartätsche
stellen“, die für die Armut verantwortlich sind. Karl Marx meint,
„in der ganzen Geschichte der Menschheit hat kein Land so fürchterlich
unter Sklaverei, Eroberung und fremder Unterdrückung gelitten, kein
Land und kein Volk so tapfer für seine Emanzipation gekämpft
wie Sizilien und die Sizilianer.“
Nichts als Schwärmerei. Auch der Roman „Der Leopard“ von Tomasi
di Lampedusa hat bis heute ein „einseitiges, zu gefälliges Sizilienbild“
geschaffen. Auf der einen Seite verherrlicht es die Zeiten, als Friedrich II. herrschte und „Sizilien das modernste Land Europas war“, meint der
Schriftsteller Peter Peter, „bevor es gegenüber dem Norden Italiens
zurückfällt und im 18.Jahrhundert zu einer der rückständigsten
Regionen wird.“
Was im armen Süden kraftvoll blüht, ist die italienische Sprache. Schriftsteller wie Vincenzo Bellini, Giovanni Verga, Luigi
Pirandello,
Salvatore Quasimodo, Leonardo Sciascia und Giuseppe Fava belegen dies.
Aber auch sie romantisieren ihre Heimat, ebenso wie die reisenden Dichter.
Und fast alle verlassen, auch heute noch, ihre Hei mat, weil ihr Bild der
tristen Realität nicht entspricht. Pirandello brachte in Deutschland
Sizilien geradezu in Mode, bis sein Stück „Heute Abend wird aus dem
Stegreif gespielt“ in Berlin 1930 ausgebuht wurde.
Alle Autoren zeichnen ein verklärendes Bild von archaischer Anmut
und griechischem Fatum, das mit der Trinakien-Schilderung Homers vergleichbar
ist. Vor allem Giovanni Verga hat aus der Fremde mit seinem Fatalismus
die Literatur seiner Heimat nachhaltig beeinflusst. Pier Paolo Pasolini
meint mit dem Verschwinden der Leuchtkäfer die kulturelle Ausrottung
Siziliens, Leonardo Sciascia analysiert den Übergang der Agrarmafia
in eine Mafia der Unternehmen. Homers Fatum hat heute die Mafia übernommen,
ein Gegner, gegen den die Polizei, wie Sciascia in „Der Tag der Eule schreibt“,
keine Chance hat. Auch Commissario Montalbano nicht, geschaffen von Andrea
Camilleri, einem der bekanntesten Autoren der Gegenwart. Auch er schreibt
aus der Ferne, aus Rom, über seine Insel. Vigata, die Stadt des Commissario,
gibt es nicht. Aber das entspricht der Tradition. Das Sizilien der Schriftsteller
gibt es nur in deren Herzen.
Hans-Herbert Holzamer
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Lontani avvicinamenti
Lucciola
L'immagine della Sicilia nella letteratura
Molti sono venuti da turisti. Dalla B di Bernard Berenson (Viaggio
in Sicilia 1992), passando, naturalmente, per Johann Wolfgang Goethe
(Italienische Reise 1830) fino alla V di Gustave Vullier (La Sicilie, Impressions
du presént et du passé 1895). Tutti si sono fatti una propria
idea della Sicilia, dove, tuttavia era raro che l'isola fosse qualcosa
di più che un nucleo di cristallizzazione per le idee romantiche
e/o di critica sociale degli autori. Nessuna isola, più della Sicilia,
suscita il desiderio di parlarne. Goethe afferma che senza aver visto la
Sicilia non ci si può fare un'idea dell'Italia: "La Sicilia é
la chiave di tutto".
Ma il principe dei poeti ha attraversato il paese con la velocità
di un gruppo di turisti giapponesi. Che cosa ha visto e cosa ha pensato?
E' quello che tenta di svelarci il germanista berlinese Peter Sprengler
nella sua opera "Immagini di Sicilia nell'Italienische Reise di Goethe".
Dai suoi tentativi di descrivere la Sicilia lo studioso di letteratura
romanza di Regensburg, Hermann H. Wetzelhat, ne ha fatto una scienza, l'imagologia,
e ha anche scritto un libro dal titolo "Immagini solite e insolite della
Sicilia".
Nessuno che scrive della Sicilia si accontenta di pensare a prati
silenziosi e boschetti sempreverdi, Johann Gottfried Seume, il poeta errante,
vuol mettere tutti i baroni e gli abati, responsabili della povertà,
"davanti alla canna di un fucile". Karl Marx ritiene che "in tutta la storia
dell'umanità nessun paese ha sofferto così terribilmente
per la schiavitù, la conquista e l'oppressione straniera, nessun
paese e nessun popolo ha lottato con tanto coraggio per la sua emancipazione
come la Sicilia e i siciliani".
Sono solo fantasticherie. Anche il romanzo "Il Gattopardo" di Tomasi
di Lampedusa fino ad oggi ha creato un'"immagine della Sicilia parziale
e troppo affascinante". Viene esaltato il periodo in cui regnava Federico
II e la "Sicilia era il paese più moderno d'Europa", dice lo scrittore
Peter Peter, "prima che retrocedesse di fronte all'Italia del Nord e prima
che nel 18mo secolo diventasse una delle regioni più arretrate".
Quel che fiorisce rigogliosa nel Sud povero è la lingua italiana.
Lo dimostrano scrittori quali Vincenzo Bellini, Luigi Pirandello, Salvatore
Quasidomo, Leonardo Sciascia e Giuseppe Fava. Ma anch'essi romanticizzano
la loro patria, come facevano i poeti erranti. E quasi tutti ancora oggi
l'abbandonano perché l'immagine che hanno di essa non corrisponde
alla triste realtà. In Germania, grazie a Pirandello, la Sicilia
fu di moda finché la sua pièce "Questa sera si recita a soggetto"
nel 1930 a Berlino ebbe il tutto esaurito.
Tutti gli autori creano una splendida immagine di grazia arcaica
e fato greco, paragonabile alle descrizioni della Trinacria fatte da Omero.
Soprattutto Giovanni Verga, con il suo fatalismo, lontano dalla Sicilia
ha influenzato per sempre la letteratura della sua patria. Pier Paolo Pasolini
ravvisa nella scomparsa della lucciola l'annientamento culturale della
Sicilia, Leonardo Sciascia analizza la trasformazione della mafia agraria
in una mafia imprenditoriale. Il posto del fato di Omero è stato
preso dalla mafia, un avversario contro il quale la polizia, come scrive
Sciascia ne "Il giorno della civetta", non ha alcuna chance. E non ce l'ha
nemmeno il commissario Montalbano creato da Andrea Camilleri, uno dei più
famosi autori contemporanei. Anche lui scrive della sua isola da lontano,
da Roma. Vigàta, la città del commissario, non esiste. Ma
questo segue la tradizione. La Sicilia degli scrittori esiste solo nei
loro cuori.
(traduzione di Anna a fiurintina)