La Stampa, 16.3.2002
Tre famosi giallisti "leggono" il delitto di Cogne
Il movente. Viaggio al fondo della follia
Fruttero: «Per capire la tragedia di Cogne mi accosterei alle tragedie greche oppure agli straordinari casi clinici descritti da Freud. Sono rimasto molto colpito dall´atmosfera alla Agatha Christie che si respira»
Camilleri: «Una storia così non potrei immaginarla. Qui sento un certo fastidio ad applicare qualunque termine letterario»
Lucarelli: «Esiste un delitto che con gli strumenti consueti della ragione non riusciamo a decifrare»

CARLO Fruttero, co-titolare della premiatissima ditta Fruttero&Lucentini, narratore con la passione del giallo, grande giallista egli stesso, non si metterebbe mai a cercare tra gli scaffali dei romanzi gialli una trama che assomigliasse (soltanto assomigliasse: con tutto il rispetto per gli sventurati protagonisti della storia «reale») a quella disegnata dal delitto di Cogne. «Mi accosterei ai volumi che raccolgono le tragedie greche, e mi sembra sacrosanto il parallelo con la Medea suggerito su questo giornale da Filippo Ceccarelli, oppure andrei a cercare tra gli straordinari "casi clinici" raccontati con grande piglio narrativo da Sigmund Freud. I gialli no, lo lascerei perdere. Perché i delitti, anche i più efferati, nei gialli hanno bisogno di un movente. E a Cogne "movente" è parola misera e inadeguata. C´entra la follia. La follia pura». Senza voler dare la croce a chicchessia, nel rispetto del lavoro degli inquirenti, con tutto il riguardo di chi, accusato, ha tutto il diritto di difendersi senza la crudeltà di condanne anticipate e frettolose, è però difficile sorvolare sul fatto che l´osservazione di Fruttero è incredibilmente vicina alla valutazione del Gip che ha definito «senza movente» il mattatoio di Cogne. Ma il «movente» è il nutrimento di un racconto che, a partire da un delitto, ricostruisce, tassello dopo tassello, un ambiente, una galleria di personaggi, un intreccio plausibile, un groviglio all´apparenza inintelleggibile di pulsioni e ragioni, di osessioni e di interazioni. Il «movente» è, appunto, il nutrimento di un giallo. Ma i grandi giallisti italiani si sentono quasi impotenti di fronte al tragico enigma di Cogne. Anche per Andrea Camilleri, uno specialista di trame gialle in cui si stagliano caratteri umani e saporite invenzioni linguistiche e «moventi» i più diversi, confessa la sua riluttanza a usare «una formula assolutamente riduttiva come "movente" nel caso di Cogne. Sono restio a parlare di fatti di cui non conosco nemmeno una pagina. Ma se, trascinato nell´impresa di ricostruire un "movente" in quel delitto, dovrei arrendermi e dire che una storia così non potrei immaginarla». «In fondo», continua Camilleri, «la percezione di un movente funziona come un´idea rassicurante, consente di farsi una ragione di ciò che è irrapresentabile anche con il più commovente sforzo del romanziere. Si dice Medea: ma Euripide ci dice le ragioni, le ragioni tragiche, che dettano a Medea quel comportamento. Qui no, fatta salva ovviamente la sacrosanta presunzione d´innocenza. Qui sento quasi un certo fastidio ad applicare termini letterari a una storia che eccede ogni limite immaginativo». Il movente che manca, appunto. Fruttero è particolarmente colpito dall´atmosfera all´Agata Christie che si respira all´inizio di questa storia: «intanto il riferimento cronologico: qualcosa è accaduto in un´ora precisa. Come nel giallo tradizionale, quando il delitto si dice sia stato compiuto, mettiamo, tra le 18 e 20 e le 18 e 28, e poi arriva il sovrintendente che, dopo aver passato in rassegna sospetti e testimoni, calcola il tempo di tutti i movimenti. Poi c´è il villino isolato, all´estremo limitare del paese. Qui, per seguire le orme simboliche della Christie, è come in un cottage solitario della Scozia, o del Galles. Arriva il delitto, mettiamo che il cadavere sia quello del vicario, o quello del possidente odiato dalla servitù e l´ispettore che interroga conoscenti e amici. L´analogia finisce qui. Perché nel giallo della Christie ogni atomo dell´atmosfera tradisce un amore dell´ordine violato ma destinato ad essere ripristinato. Nel caso di Cogne il giallo impallidisce e irrompe la tragedia greca, la catastrofe. L´impianto tradizionale del poliziesco anni Venti si sgretola, assume una curvatura apocalittica. Il giallo soft viene precipitato nell´orrore di Euripide, senza movente e senza soluzione dell´enigma». Mancanza di movente che non convince affatto un giallista di nuova generazione, eppure oramai protagonista del giallo italiano come Carlo Lucarelli. «Prima di tutto: non esiste delitto senza movente. Non esiste l´irrazionalità assoluta del delitto. Eventualmente esiste un delitto che con gli strumenti consueti della ragione noi non riusciamo ancora a decifrare. Ma il movente c´è». Posta questa premessa epistemologica e di metodo, Lucarelli confessa di sentirsi stretto anche nella disputa sui generi letterari. Giallo? Tragedia greca? Casi clinici di Freud? «Se mai esistesse un libro che riportasse la trama, sinora monca, del delitto che si è consumato a Cogne, non direi che è un giallo, e nemmeno che è una tragedia di Euripide. Direi più semplicemente che sarebbe un giallo che assomiglia a una tragedia greca». Se non c´è delitto senza movente, afferma dunque un giallista come Lucarelli, non è concettualmente possibile che il delitto di Cogne rimanga senza movente. Ma illustri giallisti diversi per formazione e generazione come Fruttero, Camilleri e Lucarelli sono assai riluttanti a dare a quel «movente» una forma e una logica e a restituire a un delitto sconvolgente il ritmo di un grande libro giallo. «Sconvolgente certo», puntualizza ancora Lucarelli, ma «sconvolgente non significa assolutamente unico o inedito». «Bisogna sfogliare i trattati di criminologia per scavare sui precedenti, altro che letteratura gialla», afferma Fruttero, che però tiene duro sulla specifica mancanza di moventi in questa tragedia greca. Non sempre, infatti la follia coincide con l´assoluta latitanza di moventi. Ancora Fruttero: «nel delitto di Novi Ligure c´è sicuramente follia, ma non c´è assoluta, totale assenza di moventi. Nella forma allucinata e mostruosa in cui quel delitto è maturato ed è stato realizzato con un movente specifico, che è quello di intascare i soldi. Immaginare a Cogne un rapinatore, un pedofilo, un nemico, un serial killer di fanciulli, mi sembra invece assolutamente impossibile». Camilleri è invece colpito da una preoccupante intensificazione di delitti senza movente. Un caso? «Quello dell´omicidio di Marta Russo. Mi sembra un caso da manuale di delitto senza movente. Perché mai avrebbero dovuto ammazzare quella povera ragazza all´Università di Roma?», risponde Andrea Camilleri. E chissà che non sia proprio la follia, il movente. Qualche giorno fa Nico Orengo sulla Stampa ha ricordato che esiste un romanzo di Charles-Ferdinand Ramuz che si intitola Paura in montagna e che racconta di una famiglia cittadina con padre, madre e due bambini, uno di sette e l´altro di tre anni, che si trasferisce in un villaggio di montagna «dall´aria buona», in un «piccolo paese di gente semplice» e alla fine il bimbo più piccolo viene misteriosamente ucciso e non si trova un maniaco come responsabile di quel delitto e tutto viene avvolto nel mistero impenetrabile di una fosca tragedia familiare. Lungimiranza. O finezza psicologica. Oppure capacità narrativa di rappresentare la follia come movente, la psicopatia come origine di una trama terribile, il buio della mente come cornice di un inenarrabile delitto. «Ci facciamo schermo dell´indecifrabilità di un fenomeno», spiega con piglio pedagogico Lucarelli. Che aggiunge: «indecifrabili sì, ma soltanto secondo i parametri della razionalità comune. Ma chi l´ha detto che la razionalità comune debba essere assunta a misura per spiegare ogni cosa? Non esiste, nell´ambito dei delitti e della letteratura gialla, l´inspiegabile, esiste l´incapacità di spiegare, che è cosa molto diversa». Come si vede, per esempio, nei romanzi e nei film che raffigurano le terrificanti gesta di un serial killer, dove a un certo punto gli inquirenti, non riuscendo a cavare un ragno dal buco, si rivolgono agli esperti, implorandoli di ricostruire un disegno coerente, una paradossale «razionalità» nelle scelte e nei comportamenti del plurimo assassino, per individuarne ossessioni e fobie, predilezioni e idiosincrasie e intervenire prima che sia troppo tardi, prima che la prossima vittima venga inesorabilmente colpita a morte. Eppure Camilleri non riesce a lasciarsi convincere sulla rappresentabilità di una tragedia della follia. «Ammiro, e lo dico da siciliano, gli abitanti di Cogne, per la loro partecipazione affettiva e cosciente a questa tragedia. E vorrei tanto che i magistrati italiani si adeguassero allo stile e all´esemplare riserbo delle due grandi donne della magistratura di Aosta», vuole ribadire Camilleri. Che conclude: «su questo caso potrei dire molte più cose come nonno fortunato che non come romanziere». E così Carlo Fruttero, che cerca nella mente analogie tra il caso di Cogne e la letteratura gialla che abbiamo sinora conosciuto, passa in rassegna, senza afferrarne quello «buono», gli infiniti moventi che possono aver dato avvio a un orrore del genere. Movente sessuale? «No». Movente economico? «No». Movente di faida familiare? «No». Follia pura? «Sì». La «follia pura», inquietante, tenebrosa, vertiginosa, convince Fruttero come unico «movente» possibile e letterariamente immaginabile. Quasi arrivando a far coincidere le sue posizioni con quelle del più giovane Lucarelli, che non si scandalizza affatto che la «follia» sia essa stessa «movente». E ogni allusione alle persone e alle tragedie reali è puramente casuale.
Pierluigi Battista