Corriere della sera,
24.3.2002
Gli intellettuali: «Caro ministro, non siamo vigliacchi, legittimo
protestare all’estero»
PARIGI - E alla fine la cultura riprese il potere. Incontri affollatissimi
(Arbasino, Calasso, Maraini, Jaeggy, Pontiggia, Del Giudice), tavole rotonde
seguite da un pubblico attentissimo, i libri italiani che si vendevano
come forse nemmeno in Italia accade. Eco è rimasto due ore nello
stand Grasset a firmare le copie di Baudolino, per Baricco nel piccolo
teatro c’è stata una vera ressa.
Poi, nel pomeriggio, il ministro Catherine Tasca (al Salon in forma
privata: firmava le copie del suo libro Un choix de vie , Plon) è
passata dal padiglione Italia: ha detto il suo dispiacere per l’accaduto,
e ha espresso la sua soddisfazione per il crescente favore con cui i lettori
francesi seguono le manifestazioni italiane. Fin qui tutto bene, dunque.
Ma da Roma, ieri mattina, arrivavano le dure parole del ministro Giuliano
Urbani, tramite l’intervista rilasciata a questo giornale: «Siamo
di fronte a una doppia vigliaccata: si dice il falso (il governo Berlusconi
è un regime, ndr ) e per di più all’estero».
Secondo Urbani, colpito dai fatti parigini, vi sarebbe un legame tra
le «farneticazioni» sul fascismo in Italia e i contestatori
di giovedì sera; non si può distinguere fra governo e Paese,
«fischiarlo significa fischiare il Paese». Insomma, gli intellettuali
italiani che manifestano all’estero la loro opposizione sono vigliacchi.
Ma era giusto dirlo? Per Vincenzo Consolo, ovvio bersaglio di questa accusa,
non si risponde «a tanta stupidità e volgarità».
Lui, che ha deciso di lasciare Mondadori per Bompiani, rivendica «il
diritto di esprimere le sue opinioni di oppositore» nella linea che
da Zola arriva a Pasolini e a Sciascia. Una sua intervista, in cui Berlusconi
rientra nella categoria dell’«eterno fascismo italiano», compare
nel volume L’Italie par ses écrivains curato da Fabio Gambaro e
stampato dalle edizioni Liana Levi in occasione del Salone. La signora
Levi, una milanese che vive a Parigi da molto tempo e la cui casa editrice
festeggia i vent’anni di età (fra gli autori italiani, Primo Levi
e Arpaia), si rende conto di aver pubblicato il manifesto dei «vigliacchi»
(le altre interviste sono a Eco, Magris, Rosetta Loy, Camilleri, Baricco
e Arpaia)? «Il libro era pronto da tempo» risponde. «Quanto
al termine vigliacchi, io non credo che il fatto di criticare il governo
del proprio Paese - all’interno o fuori, è lo stesso - debba essere
considerato un attacco al Paese». Ma in Italia c’è il fascismo?
«No, il fascismo non c’è; c’è una forma di totalitarismo
dei media ed economico».
Per Luciano Canfora, se il ministro Urbani ha usato la parola vigliacchi
lo ha fatto per l’irritazione «non tanto per le proteste di giovedì,
ma perché si vede che il governo italiano all’estero non va così
liscio». Quanto al manifestare dissenso all’estero, aggiunge, che
c’è di male?». E’ nella tradizione italiana, che cosa facevano
i patrioti del Risorgimento? E’ un dovere civico per gli italiani perbene
testimoniare come degli apostoli la loro opposizione». Già,
ma l’accusa di regime? «Regime è un termine. Usiamo fascismo,
ovviamente non in senso storiografico (il fascismo di Mussolini), ma nell’uso
politologico, consacrato da oltre settant’anni. Urbani, fine allievo di
Bobbio, certamente sarà sensibile ai due usi di questa parola. Brecht,
nel 1941, nell’esilio americano, scriveva nel suo diario: se in America
si dovesse instaurare il fascismo, sarebbe democratico. Cioè, rispettando
le forme democratico-parlamentari, avrebbe usato il potere per manipolare
l’opinione. Questo mi sembra sia il caso italiano: ci sono elezioni, c’è
il Parlamento, ma nei fatti c’è una manipolazione, per es. con la
Tv».
Anche lo storico Franco Cardini («vengo ascritto al Polo, anche
se sull’Afghanistan sono a sinistra di Gad Lerner») non apprezza
l’espressione vigliacchi: «Non ritengo che gli intellettuali italiani
lo siano, non lo è Eco, non lo è Canfora: il ministro non
doveva generalizzare. Perché non ha fatto i nomi? Non è illegittimo
manifestare contro il proprio governo; certo si potevano trovare altre
occasioni, c’era il rischio di danneggiare il Paese. Tutto qui a Parigi
ha avuto toni esasperati, a cominciare dall’improvvida frase del ministro
Tasca alle grida di mafioso al nostro sottosegretario per finire con i
collegamenti con il terrorismo». Già, il terrorismo: «Un
collegamento insensato. Io, per esempio, non condivido in niente le decisioni
di Bush sull’Afghanistan, ma non per questo debbo essere associato ai terroristi.
Quanto all’Italia, non vedo regime: vedo un sistema democratico, minacciato,
incasinato, corrotto, ma come accade a tutte le democrazie».
Ranieri Polese