Avvenire, 29.3.2002
IL CASO. In una poesia degli anni Cinquanta un inatteso Camilleri «religioso»
La passione secondo Montalbano

Andrea Camilleri giallista lo conosciamo tutti: soprattutto dopo le performances televisive del commissario Montalbano. Il Camilleri poeta invece è un autore che conosciamo decisamente meno, anche se è di valore. Bisogna ringraziare perciò il fan club dello scrittore siciliano, che ha rintracciato e pubblicato (nella voce «bibliografia» sul sito Internet www.vigata.org) il lungo componimento poetico in 13 parti Tempo, scritto nel 1948, pubblicato nel 1952 sulla rivista torinese di poesia Momenti e dedicato a Cristo e alla sua Passione.
Qual è il rapporto di Camilleri con la religione? «Assolutamente neutro», rispose tempo fa in un'intervista al Messaggero di Sant'Antonio. Con l'arguta ironia che rende possibile la comprensione delle cose senza scadere nel sarcasmo, Camilleri è intervenuto più volte in modo libero, sia con articoli sia nelle trame dei suoi racconti e romanzi, su vicende che registrano il comportamento religioso di figure storiche e della Chiesa.
In un dialogo con Manuel Vázquez Montalbán, Camilleri ha raccontato il suo incontro con un futuro Papa, durante le prove di uno spettacolo ad Assisi. Il teatro si riempì di alti prelati, cardinali e monsignori. Lo scenografo, diciamo in «divergenza» per come era stato allestito sul palco il paradiso con tanto di nuvolette, gli fa: «Cos'è questa schifezza?». «È il paradiso». «Non l'ho fatto io». «E va be'. L'ha fatto un altro». «Non mi dice niente - racconta Camilleri -. Va in palcoscenico, si munisce di un martellone, e mi rompe la prima nuvoletta. Io, dal fondo sala, urlando, bestemmiando, attraverso, salto sul palcoscenico, gli do un cazzotto in faccia, dico ai carabinieri "Arrestatelo" e lo arrestano (mi dimenticai di lui, mi precipitai a liberarlo all'una di notte). Mi voltai, e la platea era completamente deserta perché erano scappati tutti al suono delle mie orrende imprecazioni e bestemmie. C'era solo mia moglie incinta, che piangeva per la cattiva figura che avevo fatto. Non era stata una cosa civile. Allora, l'indomani, andai per chiedere scusa al Patriarca di Venezia. "Vorrei chiedere scusa per quello che ho detto ieri pomeriggio, sono veramente dispiaciuto". "Non chieda a me scusa. Lo chieda a se stesso". E già così mi sistemò per benino. Ma dopo un poco aggiunse: "Al suo posto un cazzotto glielo avrei dato anch'io". Questo è stato il mio incontro con il futuro Papa Giovanni XXIII».
Alcune pagine del suo romanzo, Il Re di Girgenti (Sellerio), relative a padre Ugo Ferito («patre Uhu») sono di particolare intensità e bellezza. Neutro il suo rapporto personale con la religione, ma sensibile alla fede vissuta con onestà e autenticità e a quella vissuta come superstizione. Infayyi ha scritto acute pagine sul presunto senso religioso dei mafiosi, a proposito del boss Pietro Aglieri, richiamando osservazioni di Pitré sulla devozione vissuta come superstizione: «Il superstizioso è sorretto da fede cieca, anche nelle cose che ripugnano alla religione e alla ragione».
Nato nel 1925, Camilleri racconta spesso anche modi di vivere la fede. «L' ho visto con i miei occhi a Ribèra, vicino ad Agrigento - disse in un'intervista - un ex voto a san Calogero, santo nero. Due carabinieri coi pennacchi e l'alta uniforme che sparano a un brigante, e il brigante che risponde al fuoco. Sotto, la scritta del delinquente medesimo: "Per grazia ricevuta, essendo scampato alla legge". Ecco cos'è la fede, e cos'è lo Stato, per certi siciliani». Riferendosi alla religiosità dei mafiosi, Camilleri conclude: «il mafioso fa cose orrende ma non smette mai di pregare... Invece del Cristo, andrebbe bene anche un totem».
Michele Brancale