Ateneo Palermitano, 4.2002
Camilleri: caso nazionale o fenomeno siciliano?
Palermo ha reso omaggio allo scrittore empedoclino con tre giorni di manifestazioni e un convegno internazionale.
Il risultato? Tutti lo considerano un "grande"

Torna il commissario Montalbano. La notizia non è trapelata dagli "addetti ai lavori" della letteratura, ma è stata data dallo stesso “papà” del famoso poliziotto, Andrea Camilleri. Per tre giorni l'attenzione di Palermo si è concentrata sullo scrittore, prima con un incontro a Palazzo dei Normanni con i rappresentanti dei Carabinieri, poi con un convegno internazionale che si è svolto tra Palazzo Steri e la Facoltà di Lettere e Filosofia, promotrice dell'incontro, soprattutto con il Dipartimento di beni culturali, storico-archeologici, socio-antropologici e geografici. Sono state due intense giornate di studio durante le quali esperti di letteratura, storici, linguisti e docenti si sono concentrati sul "caso Camilleri". Lo scrittore empedoclino, infatti, negli ultimi anni è diventato un vero fiore all'occhiello della produzione letteraria italiana. In un'intervista rilasciata a "La Repubblica" qualche giorno prima del convegno, Camilleri ha detto che dall'incontro si aspettava "di capire in realtà chi è Andrea Camilleri. Non ho ancora capito se sono un grande, un mezzo grande o mezza calzetta". Il risultato dell'incontro? Camilleri è stato disegnato come un "grande" del panorama letterario nazionale. Solo per fare un paio di esempi, Marcello Sorgi, direttore de "La Stampa", ha sottolineato l'impegno di intellettuale di Camilleri, "una figura che in Italia non si trova più. Bisogna tornare ai tempi di Gentile e Pirandello per trovare scrittori impegnati". Paolo Mauri, responsabile delle pagine culturali de "La Repubblica", riconosce allo scrittore il merito di essere riuscito in un'operazione molto difficile e delicata: "fare letteratura popolare con ingredienti colti manovrati in modo da sembrare popolari". E su questo punto ha insistito anche Jana Vizmuller-Zocco che ha analizzato le variazioni linguistiche dell'opera camilleriana ed in particolare de "Il re di Girgenti", l'ultimo libro dello scrittore. La Vizmuller-Zocco ha parlato dell'uso del dialetto ed ha evidenziato come la parlata regionale, in Italia, venga usata in modo sarcastico e a volte denigratorio. "In Camilleri non è così. Con la compenetrazione linguistica dell'autore (italiano e dialetto e a volte spagnolo, ndr) scompaiono le barriere linguistiche".
Buona parte del convegno è stata dedicata a "Il re di Girgenti", libro che si discosta dalla produzione precedente di Camilleri per il fatto di essere un romanzo storico. Gioacchino Lanza Tomasi ha spiegato che nel testo si ritrovano molti fatti importanti della Sicilia del Seicento, ma non solo a livello storico. Per Tomasi il libro è "un salto verso altri aspetti della letteratura", tanto che la maggior parte dei "fans" dello scrittore non sono rimasti molto contenti. Sempre forte è il legame col dialetto che in questo testo diventa -secondo Tomasi - "scurrile, ma molto efficace, anche se Sellerio sostiene che "Il re di Girgenti" arriva quasi al turpiloquio".
Giuseppe Marci, docente di Cagliari, ha parlato dei problema dell'identità secondo Camilleri e ha ricordato un episodio del 1999 quando lo scrittore si augurava la scomparsa della "sicilitudine", termine, secondo lui, usato in modo denigratorio. Camilleri sosteneva che preferiva essere definito "scrittore italiano nato in Sicilia", piuttosto che scrittore siciliano. Ma ad una giovane giornalista che nel 2002, a marzo e a Palermo gli ha chiesto se potrebbe ambientare un suo libro al di fuori della Sicilia, ha risposto un secco e deciso "mai, lo escludo completamente". Il "caso Camilieri" nasce in Sicilia, ma nonostante l'importanza nazionale è qui che resterà.
Monica Diliberti