La Repubblica, ed. di Palermo, 11.4.2002
Tornano in libreria le opere del questore morto 26 anni fa
Il poliziotto scrittore. La riscoperta di Pizzuto il filosofo incompreso
Romanzi, lettere, carteggi, saggi e Firenze gli dedica una antologica

Se Antonio Pizzuto, come il giovane poeta del racconto di Max Beerbohm, avesse venduto l'anima al diavolo in cambio della possibilità di scoprire la bibliografia postuma su se stesso, sarebbe stato ben lieto del fervore editoriale suscitato dall'attenzione oggi rivolta alla sua opera. Proprio in questi giorni, infatti, sono in uscita le ristampe, per i tipi della Polistampa, del romanzo intitolato "Ravenna" (pubblicato da Lerici nel 1962), con una bella postfazione di Andrea Camilleri, e di "Paginette", a cura di Gabriele Frasca. Seguiranno la pubblicazione delle lettere di Vanni Scheiwiller a Pizzuto, col titolo "Saluti di corsa e altre carte con amicizia" (Edizione degli Amici, Arezzo), e il carteggio tra Lucio Piccolo e l'autore di "Ravenna", intitolato significativamente "L'oboe e il clarino", a cura di Antonio Pane e di Alessandro Fo. Entro dicembre uscirà invece la seconda parte del carteggio tra Pizzuto e Salvatore Spinelli, curato ancora da Antonio Pane, mentre l'anno prossimo rivedranno la luce "Signorina Rosina" e "Sul ponte di Avignone", sempre per i tipi dell'edizione Polistampa.
Ma non è tutto, perché questo straordinario momento editoriale viene coronato dall'iniziativa promossa dal dipartimento di Italianistica dell'Università di Firenze: una mostra bibliografica dedicata allo scrittore palermitano, che sarà inaugurata il prossimo 15 aprile, con tanto di foto, manoscritti originali, prime edizioni, estratti della tesi di laurea, brani della sua prima opera narrativa, e un documentato catalogo. Vengono alla mente le parole del sommo filologo Gianfranco Contini, raccolte da Ludovica Ripa di Meana nel libro intervista del 1989 "Diligenza e voluttà": «Il momento di Pizzuto non è ancora venuto, ma certamente verrà».
Adesso sembra davvero arrivato il momento di rileggere le opere di questo appartato e inconsapevole maestro d'avanguardia scomparso ventisei anni fa: ma a una rassicurante distanza, sia dalle esaltazioni fatte da Contini, e in parte anche da Baldacci, Caproni, che dal silenzio colpevole di tanta critica distratta. Purtroppo è vero che nelle nostre patrie lettere circolano, come diceva Manganelli, una ventina di nomi che formano il campionato letterario di serie A. Ce n'è anche, si intende, uno di serie B, ma a volte può accadere che qualcuno venga promosso da B in A.
E' forse quello che sta capitando allo «sbirro» (così amava definirsi) Antonio Pizzuto, vicepresidente di quella che oggi sarebbe l'Interpol, questore, traduttore di Kant, conoscitore dei classici greci e latini, narratore di una realtà assurda e inconcludente? L'abbiamo chiesto ad Antonio Pane, esegeta delle opere dell'autore palermitano: «L'esito di questo rigoglio editoriale potrebbe essere quello di far diventare Pizzuto un classico ufficiale. Ed è una grossa pecca che non lo sia ancora diventato. È stato sicuramente uno dei tre più grandi scrittori del secondo Novecento, assieme a Gadda e D'Arrigo».
Ma come si spiega il silenzio che ha circondato la sua opera per tanti anni? «I motivi principali - spiega Pane - sono essenzialmente due: la scarsa circolazione dei suoi libri, dovuta al fallimento delle due case editrici che li pubblicarono, ossia Lerici e il Saggiatore, e la complessità che presenta la lettura di Pizzuto, il suo linguaggio difficilmente penetrabile». Ma è innegabile che ci sia, nell'approccio alle sue opere, anche un ostacolo di ordine narrativo, dovuto alla costruzione dei testi, alla giustapposizione dei momenti narrativi, alla manipolazione del tempo e dello spazio. «Quasi sempre - continua lo studioso - i libri di Pizzuto sono il risultato di un collage: alla base di essi vi è una sequenza di frammenti che hanno scarse connessioni visibili, posti come sono in una successione senza ordine. Sono romanzi invertebrati, di cui non si vede nessuna struttura, soprattutto nelle ultime opere, in cui la lingua italiana viene violentemente sconvolta. E poi, a complicare ulteriormente la situazione intervengono i richiami classici, i riferimenti filosofici: una frase di Pizzuto equivale a una pagina di uno scrittore qualsiasi, per densità e contenuto. Quello che lui propone nelle sue opere è una sorta di realismo avanzato, che tiene conto della relatività, dell'indeterminatezza».
Si può allora asserire che il messaggio consegnato da Pizzuto nelle sue pagine sia di natura essenzialmente filosofica? «Per lui - conclude Pane - la narrativa è solo un pretesto per trasmettere la sua visione del mondo, che gli deriva da Kant e che passa attraverso le acquisizioni del pensiero novecentesco».
«Cos'è Pizzuto, questo siciliano cosmopolita? Me lo chiedo. Una vittima, forse, o un testimone. Qualche volta potrà divenire un rimorso», scriveva anni fa Sebastiano Addamo. Oggi, finalmente, ci sono tutte le condizioni per cancellare ogni senso di colpa.
Salvatore Ferlita