16.1.2002 ?????
"Ho dato al mio commissario il nome di un professore"
Salvo Montalbano era un docente, oggi è l'investigatore più
famoso d'Italia
C'era un vecchio docente che si chiamava Salvo Montalbano al liceo classico
"Empedocle" di Agrigento. Andrea Camilleri lo ha sicuramente ricordato
quando ha dato vita al suo celebre commissario. Il professore, come lo
chiamano con deferenza anche gli amici più intimi, in quegli anni
giovanili era un vulcano. Come lo è oggi a 76 anni. Ancora imberbe
aveva fondato il giornalino della scuola "L'asino che vola", dato vita
a una compagnia teatrale che aveva rappresentato opere dell'allora emergente
Italo Calvino.
Ricorda tutti i suoi compagni?
«Ho una foto di gruppo fatta l'ultimo giorno di scuola nel cortile
del liceo. Dal mare arrivava il cupo lontano rimbombo delle cannonate della
flotta alleata su Lampedusa. Era il 1943 e i marines americani sarebbero
sbarcati due, tre mesi dopo. Di molti dei compagni di quella fotografia
non ho più notizie; di qualcuno sono rimasto molto amico: Gaspare
Giudice, il più acuto tra i biografi di Pirandello, e Dante Bernini,
poeta e sovrintendente alle belle arti. Ricordo anche Luigi Giglia, precocemente
scomparso, che si diede alla politica e ricoprì incarichi di governo.
E infine, gli amici di sempre Pepè Fiorentino e Fofò Gaglio».
Era un alunno disciplinato?
«Per niente. Nel secondo semestre dell'ultimo anno la mia pagella
documenta un sette in condotta. Due anni fa sono tornato nel mio vecchio
liceo e mi hanno fatto vedere il registro delle punizioni. La professoressa
Vullo, di scienze, scrive che «a un tratto Camilleri si alza dal
banco e recita ad alta voce un suo incomprensibile monologo». Il
preside Lo Jacono mi assegnò tre giorni di sospensione».
Le vengono in mente altri docenti?
«Ricordo eccellenti professori. Come la De Mauro che quando capì
che ero negato per i numeri fece con me un accordo: mi avrebbe dato il
sei solo se avessi superato tutte le altre materie. E mantenne il patto.
Poi c'era Carlo Greca, di filosofia, che ci fece capire i passaggi più
difficili di Kant. E De Marino che ci insegnò il latino facendoci
leggere passi allora proibiti di Marziale».
Il più bizzarro?
«Il professore d'italiano Cassesa. Ci disse che fatti i conti,
con i soldi che gli dava lo Stato, lui non poteva farci più di sei
lezioni all'anno. Commentando Dante ci stregò. Terminata la sesta
lezione, annunziò che non sarebbe andato avanti, a meno che noi
non l'avessimo pagato facendogli trovare un pacchetto di orrende sigarette
"Milit" a lezione. Accettammo, pretendendo però che non si concedesse
alcuna pausa fino alla fine dell'ora. Solo anni dopo capii che si trattava
di una sua geniale strategia per attirare la nostra attenzione».
Ricorda qualche scherzo particolarmente riuscito?
«C'era poca goliardia. C'era la guerra, eravamo sottoposti ai
bombardamenti, molti di noi avevamo familiari al fronte. Erano frequenti,
invece, le azioni di sabotaggio verso i docenti. Come quella volta che
qualcuno fece esplodere un petardo mentre la professoressa di chimica stava
soffiando dentro il cannello di un alambicco. Il botto la fece inspirare
e così inghiottì un liquido fetido che la fece star male.
Un'altra volta cospargemmo di cera la lavagna e la supplente di matematica
non riuscì a scrivere le equazioni».
Lei era un pendolare da Porto Empedocle dove abitava.
«Ci recavamo a scuola con la corriera o con la Littorina, una
vecchia automotrice. Quando avevamo voglia di marinare le lezioni, la decisione
veniva presa collegialmente. Con Ciccio Burgio, Fofò Tripodi, Pepè
Fiorentino, Benuzzo Di Betta gironzolavamo senza meta, ci raccontavamo
storie, visitavamo i templi e, soprattutto, rubavamo frutta dagli alberi
in giro per la campagna».
t.g.