Il Gazzettino, 24.1.2002
«Montalbano non mi ingabbia» «È come far visita a un amico». A fine febbraio iniziano le riprese de "L'odore della notte"
Luca Zingaretti a Padova per la presentazione del film-tv "Perlasca, un eroe italiano" in onda lunedì su Raiuno

Padova. Luca Zingaretti sorride con lo sguardo. Un guizzo negli occhi nocciola che sfumano nel verde, le labbra che si imbronciano per un respiro, la fronte che si increspa, e il commissario Montalbano sembra materializzarsi dal nulla, pronto ad osservare e catalogare ogni dettaglio. La magia si dissolve in un attimo, l'eroe di Camilleri ripiomba nella sua Sicilia, e Zingaretti si riappropria del suo "io", gentile e cordiale con chi l'attendeva l'altra sera a Padova per la presentazione del film tv "Perlasca, un eroe italiano", prima tappa di un tour de force che lo sta portando in giro per l'Italia e per il piccolo schermo (dopo Roma, Padova e Arquà, ieri era a Firenze; la Carrà l'aspetta oggi a "Carramba" contendendoselo con Vespa).
Zingaretti, ormai sta diventando un "buono": dopo Montalbano e Perlasca, si fa fatica a re-immaginarla cattivo come nel "Branco" o in "Vite strozzate".
«Ma no... mi sono appena stati proposti due ruoli da cattivo. Non li interpreterò perché non mi convincono le sceneggiature, ma sono stato felice dell'offerta. Non ho paura di essere ingabbiato».
Sicuro?
«L'importante è che il personaggio sia a tutto tondo. I "cattivi" si distinguono in due categorie: quelli che nascondono il male, e allora è divertente interpretarli, e quelli che devono fare la faccia truce per fare cose truci. In questo caso sono bidimensionali e diventano noiosi. Ovviamente opto per i primi».
Qual è il "cattivo" che più le è piaciuto al cinema?
«Dico una banalità: Hannibal. Prima di tutto perché si tratta di un personaggio scritto magnificamente bene, poi perché lo interpreta Anthony Hopkins. Per un attore è bello lavorare sulla "malattia", inoltrarsi in territori insondabili nei quali si perdono i riferimenti etici».
Come mai aveva annunciato di voler abbandonare Montalbano?
«Sono stato vittima di equivoco: durante la conferenza stampa di "Incompreso" qualcuno mi chiese se mi sarei calato ancora nei panni di Montalbano. All'epoca stavano ancora scrivendo le sceneggiature, io non le avevo ancora viste, e non firmo mai un contratto senza aver letto prima il copione. Così dissi "non lo so", perché effettivamente non lo sapevo. Voglio bene a Montalbano, non credo che mi incastri in un ruolo, e spero che anche questo "Perlasca" aiuti a fare uscire l'attore».
A che punto siete con i nuovi episodi?
«Ne abbiamo già girati due, uno tratto dagli "Arancini", l'altro da "Un mese con Montalbano". Ci manca adesso "L'odore della notte", che inizieremo a girare a fine febbraio in Sicilia».
Perché la fidanzata di Montalbano, Livia, piace così poco, soprattutto al pubblico femminile?
«Credo che un pizzico di colpa sia nostra. Il personaggio tratteggiato da Camilleri è un adulto che ha scelto di vivere un rapporto atipico. Livia abita in Liguria, Montalbano in Sicilia, entrambi sono profondamente legati al proprio territorio, ed entrambi, anche se Camilleri non lo dice mai, sanno perfettamente che non potranno mai vivere insieme. Montalbano è un eroe che va contro tutto, che risponde solo alla sua coscienza: ha bisogno di una donna come Livia. Ogni volta che 
chiude un caso, la deve chiamare, quasi per purificarsi... Noi l'abbiamo resa un po' rompiscatole, e le donne rompiscatole non piacciono tanto...».
Come affronta questo ruolo ormai così "familiare"?
«Il pericolo, in questi casi, è arrangiarsi. E' come indossare una giacca che ti va bene, che ti piace, nella quale ti senti al sicuro, ma per un attore questo approccio può essere pericoloso. Per me ritrovare Montalbano è come andare a far visita ad un amico che vive in un piccolo paese della Sicilia: penso a cosa direbbe, a cosa farebbe... Un attore deve sempre rimanere lucido e capire quali sono i meccanismi psicologici ed emotivi che muovono il personaggio. Se lavori bene, alla fine l'equazione ti torna. Poi subentra anche la tecnica».Cosa la spaventa di più del suo mestiere?
«Nella vita capiteranno sempre momenti up e down. La paura è di annoiarmi, perché questo è un lavoro che chiede tanto».
Com'è la sua giornata tipo quando non lavora?
«È il caos più... banale. Sto molti mesi lontano da casa, e quando torno tutto mi si accavalla: bollette o multe da pagare, il dentista... passo da uno sportello all'altro. E invece a me piacerebbe avere del tempo libero per poter leggere, studiare, lavorare a progetti che ho pensato e accantonato».
Dopo "Perlasca" ci sarà un altro tour de force per la fiction "Incompreso". E poi?
«Poi dovrebbe uscire "Texas 46", un film sui prigionieri di guerra italiani portati in campi di concentramento americani. Poi spero di poter lavorare con Enzo Monteleone a "El Alamein", un progetto che è slittato nel tempo e che ora dovrebbe decollare, ma non so ancora se sarò libero io».
Come mai questo interesse per gli argomenti storici?
«Mi piace ricordare, mi piace capire come ragionava la generazione passata, più semplice di quella di oggi, ma con un più forte senso etico».
Chiara Pavan